West Texas Intermediate (WTI): cos’è, prezzo e quotazione del petrolio

Cos’è il West Texas Intermediate? Cosa significa WTI? Qual è il prezzo del West Texas Intermediate? Come si calcola quotazione del petrolio? Quando si parla di petrolio e di Texax, tornano irrimediabilmente alla mente le mitiche figure americane con quei cappelloni bianchi. Tanto buffi quanto inneggianti potere economico e finanziario. Pensiamo a J.R. di Dallas, a Jefferson Davis “Boss” Hogg di Hazzard, a Bush padre e figlio che ogni tanto li sfoggiavano nel tempo libero, e così via.

Ma cappelli sfavillanti a parte, prima di parlare però di WTI e di Brent (poi vedremo la differenza) è giusto accennare anche alla materia prima a cui sono correlati: il petrolio.

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Da cosa è composto petrolio

Di cosa è fatto il petrolio? Quest’ultimo è composto da una miscela di idrocarburi (in prevalenza carbonio e idrogeno) e viene estratto dai giacimenti negli strati superiori della crosta terrestre, ad una profondità compresa tra poche decine e diverse migliaia di metri. Il petrolio estratto dai giacimenti viene inizialmente definito greggio o grezzo, prima cioè che venga distillato e raffinato. Per poterlo così trasformare in benzina, cherosene, gasolio e olio combustibile.

Il petrolio viene definito “oro nero” per il colore nero che contraddistingue il liquame prima della sua lavorazione. Tuttavia, il petrolio può essere anche di altri colori al suo stato grezzo. Le tonalità vanno dal giallo al nero, in base alla sua composizione idrocarburica.

Prezzo petrolio da cosa dipende

Cosa incide sul prezzo del petrolio? La produzione di greggio non è sempre uguale ed è strettamente connessa alla zona in cui viene estratto. A fare la differenza tra i vari tipi di petrolio è lo zolfo in esso contenuto e la densità del liquefatto. E’ soprattutto questo elemento che ne determina il prezzo. Così, se lo zolfo in esso contenuto è tanto, allora il prezzo del greggio tenderà a salire. Ciò in quanto la sua presenza tende a corrodere i tubi di metallo che vengono impiegati nell’industria petrolifera, aumentando di conseguenza i costi di raffinazione.

Ma oltre al quantitativo, incide come detto anche la densità del liquido estratto. Tanto più il greggio è denso, tanto più sono necessarie ulteriori lavorazioni più complesse per renderlo leggero e “pulito”. Quest’ultimo aspetto viene misurato in gradi API (dall’acronimo di American Petroleum Institute): il grado è inversamente proporzionale alla densità e direttamente proporzionale alla leggerezza. E viene quantificato in una scala che va da poco meno di 10° a oltre 60°: fino a 25 parliamo di greggi pesanti; da 26 a 40 di greggi medi o leggeri, da 41 a 60 di greggi superleggeri. Un po’ come avviene nella boxe insomma. Per fare un esempio, il Brent è un greggio leggero a 39° API, come il West Texas Intermediate (WTI), che ha la stessa gradazione. Mentre altri tipi di petrolio sono il Bonny Light nigeriano, con 36° o il Saudi Arabia Light, con 34°.

Per quanto concerne l’altro aspetto, lo zolfo, esso fa suddividere il greggio in altre 3 categorie:

  • greggi sweet: per contenuti di zolfo inferiori allo 0,5 % del peso
  • greggi medium sour: con contenuti tra lo 0,5 e l’ 1,5 %
  • greggi sour: con contenuti superiori all’ 1,5 %.

Perchè si parla di sweet o sour? Letteralmente dolce o amaro? In quanto quando la ricerca petrolifera negli Stati Uniti era agli inizi, il greggio veniva dai tecnici letteralmente ‘assaggiato‘: nel caso in cui ci fosse tanto zolfo, il gusto era più acre. Non sappiamo però quanto costasse ai tecnici – autentici soummelieur del petrolio – questo assaggio in termini di salute.

Volendo fare una geolocalizzazione della qualità del petrolio, possiamo dire che oro nero con basso contenuto di zolfo ed una elevata gradazione API (quindi ottimo) si trova in Libia. Greggi leggeri e sweet si trovano in Medio Oriente, Nord America e Mare del Nord. Quelli più pesanti, per presenza di zolfo e densità del liquido, si trovano nella ex Urss e in Sud America. Alcuni greggi venezuelani, per la loro pesantezza, sono paragonati a bitumi, il che li rende maggiormente necessitanti di raffinazione e per questo quindi più costosi.

Sul prezzo del petrolio incidono comunque altri fattori, oltre a quelli prettamente fisici. Soprattutto le congiunture economiche internazionali, l’instabilità politica di determinati paesi produttori, gli scioperi sindacali, pesanti incidenti a piattaforme petrolifere, particolari fenomeni climatici, e così via.

Infine, dato che il petrolio viene sempre scambiato in dollari americani, ovviamente sul prezzo incide pesantemente il cambio Euro/dollaro. Ecco i vari scenari possibili:

Per capirci, ci sono sei regolette da tenere a mente:

  1. Quando il cambio va in sfavore dell’euro ed il prezzo del greggio rimane invece invariato, i prodotti petroliferi costeranno di più
  2. Quando il cambio migliora in favore dell’euro ed il prezzo del greggio rimane invariato, i prodotti petroliferi costeranno di meno
  3. Quando il cambio va a sfavore dell’euro ed il prezzo del greggio invece sale, i prezzi dei prodotti petroliferi risentiranno di due fattori negativi
  4. Quando il cambio migliora in favore dell’euro ed il prezzo del greggio invece subisce un calo, i prezzi dei prodotti petroliferi beneficeranno di contro di due fattori positivi
  5. Quando il cambio migliora per l’euro ed il prezzo del greggio aumenta, i prezzi dei prodotti petroliferi risentiranno di due fattori tra loro in contrasto, quindi l’effetto finale finirà per essere dipeso da quale dei due fattori sarà più decisivo
  6. Quando il cambio peggiora per l’euro ed il prezzo del greggio diminuisce, i prezzi dei prodotti petroliferi risentiranno anche in questo caso di due fattori tra loro in contrasto e l’effetto finale dipenderà anche in questo caso da quale dei due fattori sarà più decisivo

Paesi che producono petrolio

Quali sono i Paesi che producono di più petrolio? Gli Stati baciati (più che altro per un fatto economico, ma dal punto di vista ambientale è una sciagura) dal petrolio sono diversi, tra cui in minima parte (0,1% del totale mondiale) anche l’Italia. Dove la regione più ricca è la Basilicata (con tutte le conseguenze per l’incidenza dei tumori). Mentre i 20 Stati maggiormente produttori di petrolio sono:

  1. Arabia Saudita, detiene il 13,2% del totale del petrolio mondiale
  2. Russia, 12,8%
  3. Usa, 8,8%
  4. Iran, 5,2%
  5. Cina, 5,1%
  6. Canada, 4,3%
  7. Emirati Arabi Uniti, 3,8%
  8. Messico, 3,6%
  9. Kuwait, 3,5%
  10. Iraq, 3,4%
  11. Venezuela, 3,5%
  12. Nigeria e Brasile, 2,9%
  13. Norvegia, 2,3%
  14. Kazakistan, 2.2%
  15. Angola, 2,1%
  16. Algeria, 1,9%
  17. Qatar, 1,8%
  18. Regno Unito, 1,3%
  19. Indonesia, 1,1%

Opec cos’è

Cos’è Opec? Quali sono gli stati membri dell’Opec? Per Opec si intende l’acronimo Organization of the Petroleum Exporting Countries (traducibile in Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), organizzazione fondata nel 1960. Include 12 Paesi che si sono associati, formando un cartello economico, per negoziare con le compagnie petrolifere aspetti relativi alla produzione di petrolio, prezzi e concessioni. La sede dell’OPEC, inizialmente stabilita a Ginevra, dal 1º settembre 1965 è stata trasferita a Vienna. Per capire l’influenza dell’Opec, basta dire che gli stati membri che la compongono controllano circa il 78% delle riserve mondiali accertate di petrolio, il 50% di quelle di gas naturale e forniscono circa il 42% della produzione mondiale di petrolio ed il 17% di quella di gas naturale.

I Paesi membri dell’Opec sono:

  • Algeria
  • Angola
  • Arabia Saudita
  • Ecuador
  • Emirati Arabi Uniti
  • Iran
  • Iraq
  • Kuwait
  • Libia
  • Nigeria
  • Qatar
  • Venezuela
  • Gabon
  • Indonesia

Tra i grandi assenti dell’Opec troviamo colossi del petrolio quali Usa, Canada, Messico, Cina e Russia. E’ stata poi creata una sorta di Opec del gas. L’organizzazione del GECF (Gas Exporting Countries’ Forum), costituita a Tehran (capitale dell’Iran) nel 2001, con lo scopo di superare l’attuale meccanismo che vincola il prezzo del gas naturale a quello del petrolio e di prepararsi per l’evoluzione del mercato del gas. Cosa si intende con ciò? Che se fino ad oggi quello del gas è stato un mercato vincolato ai gasdotti, con tutte le implicazioni geopolitiche del caso (infatti si pensa che la guerra del Kosovo o in Afghanistan abbiano avuto il passaggio di gasdotti come principale motivo) grazie al GNL diventerà globalizzato (quindi svincolando di fatto i terminali di liquefazione e di rigassificazione) e fluidificato (facendo crescere l’importanza del mercato spot a discapito quindi dei contratti di lunga durata). La sede del GECF si trova a Doha, in Qatar. Piccolo Paese di recente messo nel mirino da altre superpotenze poiché finanzierebbe e spalleggerebbe l’Isis.

WTI e Brent differenze

Quali sono le differenze tra WTI e Brent? Dato che greggi disponibili e prezzi variano molto, essi si riferiscono a benchmark diversi. I due benchmark principali sono:

  • il Brent
  • il West Texas Intermediate (WTI)

Entrambi sono classificati come petroli leggeri (chiamati non a caso in inglese con il gergo light sweet, dove per “light” ci si riferisce alla scarsa densità e per “sweet” al basso contenuto di solfuri).

Cos’è Brent

Cos’è il Brent? Esso viene scambiato all’ex London International Petroleum Exchange, ora chiamato Ice, ed è un tipo di greggio estratto nel Mare del Nord. I primi giacimenti sono stati scoperti agli inizi degli anni Sessanta. Attualmente viene estratto soprattutto in Gran Bretagna, e in misura minore in Norvegia, Danimarca, Olanda e Germania. Il Brent viene utilizzato come punto di riferimento per definire i prezzi del petrolio proveniente da Europa, Africa e Medio Oriente. Tuttavia, rappresenta una qualità di petrolio considerata inferiore rispetto al WTI, in quanto ha contenuto di zolfo maggiore (il discorso che facevamo all’inizio dell’articolo). Eppure, per quanto il quantitativo prodotto sia limitato, il Brent pesa per circa due terzi nel determinare il prezzo generale, mentre il peso del WTI corrisponde al restante terzo.

WTI cos’è

Il petrolio WTI (acronimo di West Texas Intermediate), viene invece definito “Texas light sweet” ed è il parametro utilizzato per i contratti scambiati al NYMEX (considerato il principale mercato mondiale per futures ed options sui prodotti energetici e sulle materie prime).

WTI e Brent quotazione

Negli anni addietro, sia WTI che Brent hanno sempre scambiato intorno alla parità. Tuttavia, da qualche anno si assiste ad un nuovo fenomeno: la forchetta tra loro si è ampliata e ciò va attribuito a due fattori su tutti:

  1. Aumento della produzione in Nord America
  2. Instabilità geopolitica in tutto il Medio Oriente.

Entrambi questi fattori vanno a discapito del prezzo del Brent, su cui grava pure un altro fardello: i costi di trasporto, che invece il WTI non deve sostenere poiché viene trasportato via oleodotto. In realtà su questo punto c’è anche una diversa scuola di pensiero. In quanto alcuni economisti ritengono il contrario, poiché il Brent viene estratto in mare e quindi più facilmente trasportabile, mentre il WTI in paesi asiatici senza sbocco. Occorre poi aggiungere che l’interesse degli investitori nei confronti delle quotazioni del petrolio va oltre l’interesse del singolo operatore ad operare in maniera diretta sul mercato delle commodities. Se le quotazioni del greggio aumentano, vuol dire che si stanno verificando questi fenomeni:

  • aumento dei costi di produzione, che influenzano le stime di crescita delle società quotate
  • tensioni inflazionistiche. Quest’ultimo punto spinge le Banche Centrali ad attuare politiche monetarie più restrittive e ciò comporta strascichi sui listini azionari ed obbligazionari

L’International Petroleum Exchange di Londra (IPE) è stato di recente sostituito dall’Intercontinental Exchange di Atlanta. Su questi due mercati sono quotati sia il Brent che il WTI, dove il petrolio viene venduto al barile: ognuno di questi barili contiene convenzionalmente 159 litri di greggio, pari a circa 135 chili.

In particolare, dal 2010 si è assistiti ad una impennata del prezzo del Brent, accentuata anche dalla forte domanda da parte dei mercati asiatici. Infatti, se allora la quotazione Brent era di 71 dollari, è impennata a 100 dollari al barile. Per poi crollare di nuovo vistosamente. Comunque, oggi non siamo a quei livelli ma la differenza è comunque sostanziale: il Brent costa almeno 3 dollari in più al barile rispetto al WTI.

All’IPE di Londra viene quotato in dollari il future che ha come sottostante il Brent. Questo derivato copre circa due terzi delle contrattazioni mondiali di petrolio finanziario. Su tale mercato è anche trattato il contratto di opzione legato allo spread tra il Brent e il Light Crude. Tutti i futures principali sono contratti con scadenza a tre mesi, e, a seconda dei casi possono prevedere in maniera alternativa la consegna fisica a scadenza (physically settled) franco oleodotto o raffineria. O il regolamento attraverso compensazioni in denaro tra il prezzo future pattuito e il prezzo del greggio a consegna immediata sul mercato (cash settled).

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WTI prezzo

Qual è il prezzo del WTI? Come ogni cosa quotata in Borsa, il prezzo varia continuamente, quindi il prezzo andrebbe continuamente aggiornato. Mentre scriviamo, comunque, se il valore del Brent segna un -0,26%, con ultimo prezzo fissato a 64,1 euro, il prezzo del WTI segna un calo di -0,07%, a 57,31 euro.

WTI storia

I primi anni di vita del WTI sono stati caratterizzati da un andamento non certo volatile: dal 1948 al 1953 è rimasto quasi fisso sui 2,6 dollari al barile. Su questo fenomeno del prezzo ha inciso non poco anche il fatto che ci trovassimo nell’immediato dopoguerra. Ma anche agli albori della Guerra fredda tra Usa e Russia. Il decennio successivo, ovvero dal 1956 al 1965, ha visto il primo calo di una certa entità del prezzo del greggio, passato così da un valore leggermente superiore ai 3 dollari, ad un prezzo compreso tra i 2,9 e i 2,95 dollari al barile.

Negli anni successivi, quelli tra il 1966 e il 1975, sono stati contrassegnati da un incremento notevole del prezzo del greggio, specie tra il ’74 e il ’75. Ciò fu dovuto alla fine dell’embargo voluto dai Paesi Opec sul petrolio, voluto per la crisi energetica del 1973, provocata soprattutto dal taglio del flusso di approvvigionamenti di greggio da parte dell’OPEC scatenata dalla guerra del Kippur. Quest’ultima fu un conflitto arabo-israeliano, combattuto dal 6 ottobre al 25 ottobre 1973, tra Israele e una coalizione composta da Egitto e Siria.

Nel decennio che va dal 1976 al 1986 c’è stata invece una notevole salita del prezzo del greggio, arrivato a 15 dollari al barile intorno alla fine degli anni ’70, per arrivare ai 39 dollari tra il 1980 e il 1981. Ad incidere su ciò l’inizio della globalizzazione dei mercati e l’influenza, sul prezzo, del Brent.

All’inizio del 1986, il greggio è sceso a 10 dollari al barile, mentre nel 1991 ha fatto registrare una nuova salita, fermatasi giusto sotto la resistenza di 40 dollari, salvo poi riscendere ancora attorno ai 20 dollari. Cosa ha inciso su ciò? La prima Guerra del Golfo voluta da Bush padre, sebbene rispetto a Bush Jr. si fermerà e non spodesterà Saddam, comprendendo che ciò avrebbe portato ad una forte instabilità dell’area (cosa puntualmente accaduta invece quando Saddam è stato fatto fuori). E una serie di disastri petroliferi, con scene apocalittiche che fecero presto il giro del Mondo (infatti fu la prima guerra fortemente mediatica). Si pensi agli uccelli ricoperti di petrolio, colonne di fumo imponenti, mare inondato da liquami. I disastri più impressionanti furono quello del 23 gennaio 1991), quello della M/T Haven (11 aprile 1991), l’ABT Summer (maggio 1991) e quello della petroliera Kirki (luglio 1991).

A cavallo tra gli anni ‘90 e 2000, il prezzo del greggio sale in maniera abbastanza costante. Si passa così da un valore di circa 20 dollari al barile ad uno di oltre 60 sul finire del 2005.

Nel 2008, ad inizio della crisi economica, il WTI toccò il valore di 100 dollari al barile e ha raggiunto il massimo storico di 140 dollari. Da allora è iniziata una discesa che ha portato il Brent a 40 dollari al barile, salvo poi risalire ad oltre 100 dollari e riscendere, dopo la crisi economica più recente, ad un valore inferiore a 30 dollari.

Il West Texas Intermediate (WTI) è un mix di greggi di ottima qualità, prodotti in diverse aree degli Stati Uniti e stoccati al terminale di Cushing, in Oklahoma. Per anni il WTI è stato spesso identificato, nell’immaginario collettivo, come petrolio mondiale. Dando al Brent un ruolo marginale. Eppure, l’andamento del WTI era simile a quello del Brent, rispetto a cui presentava un premio mediamente prossimo – tra gli anni 2000 e 2010 – a 1,5 doll/bbl. Nel 2011, però si ha la svolta: il differenziale tra i due prezzi non solo si inverte ma si amplia in maniera progressiva e significativa: nel 2011, infatti, il prezzo medio del Brent risultò superiore di 16 doll/bbl a quello del WTI, sconsacrando così le credenze fino a lì vigenti della sua rappresentatività come riferimento mondiale.

Perchè è accaduto ciò? In pratica, il WTI si era sganciato dalle dinamiche internazionali del mercato petrolifero e stava rispondendo a logiche prettamente interne tutte all’America. L’aumento produttivo causato dalle nuove produzioni non convenzionali di shale oil ha comportato un eccesso di offerta che non era possibile smaltire tramite le esportazioni di greggio. Le quali erano vietate negli Stati Uniti dal lontano 1975 (in seguito alla crisi petrolifera del 1974). Ciò ha causato una forte crescita delle scorte detenute nel terminale di Cushing, dove peraltro finiscono pure altri tipi di greggio (si pensi alle vicine sabbie canadesi) che rappresentano pure la parte più consistente delle giacenze. Così, mentre sul mercato petrolifero internazionale incideva la cosiddetta Primavera Araba (la rivoluzione che ha portato diversi Stati nordafricani a cambiare il proprio asset politico), con conseguenti crisi politiche interne in importanti paesi produttori di Medio Oriente e Nord Africa, il petrolio Made in Usa ha invece mostrato una dinamica prettamente di tipo locale, che non rifletteva quanto stava accadendo nel resto del Mondo bagnato dal petrolio.

Il risultato è stato che il WTI non poteva più essere considerato un buon indicatore del prezzo del petrolio mondiale. Comunque, già in tempi più recenti, la differenza che passa tra prezzo Brent e WTI si è fortemente ridimensionata e i due greggi hanno ripreso a seguire andamenti simili. Malgrado il fatto che il riferimento del Mare del Nord rimanga quotato a premio su quello statunitense. Nel 2016, poi, il fatto che sia stato rimosso il divieto di esportare greggio da parte degli Stati Uniti, come degna risposta ai mutamenti indotti dalla shale revolution, fa ritenere gli esperti del settore che potrebbe essere possibile un ritorno del WTI come benchmark mondiale.

Comunque, se nel medio termine sembra poco credibile il ricorso ad una valida alternativa al Brent, sul più lungo periodo non mancano varie ipotesi. Come l’emersione di un benchmark che provenga dall’Asia, in virtù della crescente quota della domanda mondiale proveniente da quest’area (in primis dalla Cina, quinta potenza mondiale del petrolio e ormai pure prima a livello economico). Ma anche la completa revisione dell’attuale sistema dei prezzi in risposta ad un mercato in continuo e forte cambiamento. Chi vivrà vedrà. E pomperà petrolio.

Barile petrolio cos’è

Cos’è il barile di greggio? Quando si parla di greggio, i prezzi sono riferiti di solito al ‘barile’ (dall’inglese barrel). Cosa significa ‘barile’? Trattasi dell’unità standard per la misura volumetrica del petrolio e dei derivati e corrisponde a 42 galloni U.S.A. (159 litri) o anche a 35 galloni ‘imperiali’ (misura di capacità del Canada e del Regno Unito). Il barile come unità di misura è stato adottato legalmente per la prima volta nel lontano 1886 dallo stato americano del West Virginia, ma solo una parte degli stati americani ne fissa la misura alla temperatura di 60°F (15°C) come condizione standardizzata.

Quanto pesa un barile di greggio? Circa 136 kg (corrispondenti a 306 libbre americane). Occorre però sapere che un barile di greggio che si trova nel giacimento è soggetto ad un calo nei serbatoi di stoccaggio complice la fuga di gas e di frazioni leggere. Non a caso, nel contratto di compravendita viene anche stabilito in precedenza se per barili si intendono quelli del giacimento o quello nei serbatoi di stoccaggio. Inoltre, il termine ‘barili per giorno’ (barrels per day) si riferisce all’unità di misura della produzione di un pozzo o di un giacimento. O, ancora, alla capacità di lavorazione di un impianto, adottata a livello universale dall’industria del petrolio, e può essere di 2 tipi: per giorno solare o per giorno di funzionamento. Un barile/giorno corrisponde a circa 50 tonnellate/anno.