Tether: esperti sempre più preoccupati, sarà il colpo decisivo alle criptovalute?

Per mesi, gli osservatori hanno sollevato domande piuttosto specifiche su Tether, una criptovaluta il cui valore dovrebbe essere “ancorato” al dollaro statuntiense, ma sulla quale continuerà in realtà ad aleggiare grande opacità. La compagnia che sta dietro Tether sostiene infatti di avere un dollaro in banca per ogni token in circolazione, e il sito web di Tether afferma che queste disponibilità liquide sono “soggette a frequenti controlli” ma… perché nessuno (o quasi) ci crede? E da chi arrivano quei “frequenti controlli”? E come mai la società di auditing Friedman LLP, che stava lavorando a una verifica su Tether e Bitfinex, un Exchange strettamente legato a Tether, ha rotto i rapporti con la società?

Cresce la preoccupazione

Considerato che le risposte di cui sopra non hanno ancora avuto una precisa risposta, ma continuano – giorno dopo giorno – ad alimentare aspre preoccupazioni, gli analisti sono allarmati da quel che sta avvenendo in casa Tether, con la società che prosegue a lanciare nuove monete sul mercato. Sia sufficiente ricordare come lo scorso aprile c’erano in circolazione poco più di 50 milioni di dollari di Tether, e che oggi, a meno di un anno di distanza, la cifra è lievitata a 2,2 miliardi di dollari, con un incremento di 850 milioni di dollari nel solo mese di gennaio.

Ora, considerato che Tether ha affermato che durante questo frangente temporale non è stato possibile ricevere bonifici internazionali, da chi provengono gli 850 milioni di dollari in contanti a sostegno di queste nuove emissioni?

Tether è una scatola vuota?

Alcuni critici sostengono che in realtà le nuove emissioni di Tether sarebbero sostenute… dal nulla. Accuse gravi, che tuttavia sono sempre più diffuse. D’altronde, la possibilità che oltre 2 miliardi di dollari di token non abbiano copertura, è abbastanza allarmante: il rischio è infatti che chi ha acquistato Tether in realtà abbia in mano un asset completamente vuoto, e – dunque – che da un giorno all’altro si scopra che effettivamente Tether è una scatola vuota, che non abbia in realtà 2,2 miliardi di dollari in banca, e che dunque il progetto sia destinato a sgonfiarsi con un nulla di fatto.

Penso che ci sia una crisi finanziaria incipiente nel mondo delle criptovalute”, ha dichiarato Robleh Ali, un avvocato specializzato in tematiche finanziarie, che ora studia le criptovalute al MIT. “Le crisi finanziarie si verificano quando grandi aspettative vengono deluse. Molte persone non si rendono conto che le valute virtuali non sono dollari”.

Ad ogni modo, sarebbe comunque opportuno non saltare a conclusioni non supportate da dati di fatto. Forse infatti Tether ha davvero 2.2 miliardi di dollari nascosti in un conto bancario segreto (anche le più rilevanti critiche d’altronde non hanno certamente dimostrato il contrario!). Tuttavia, la società è stata sorprendentemente lenta nel produrre le opportune prove del fatto che abbia sufficienti fondi contanti in banca per sostenere la criptovaluta che ha emesso, e questo – giorno dopo giorno – non fa che alimentare nuove polemiche.

Tether e Bitfinex, una relazione da svelare

I problemi di interpretazione su Tether non sono però finiti qui. Per comprenderne pienamente la sua situazione, occorre tornare indietro almeno ad agosto 2016, quando gli hacker rubarono 120.000 bitcoin – per un valore di circa 70 milioni di dollari – da Bitfinex, un exchange di criptovalute la cui proprietà è strettamente legata a Tether (tanto che un dirigente ha descritto Bitfinex come proprietario di maggioranza di Tether).

Ebbene, a quanto sostengono – ancora una volta – le tesi più critiche, Bitfinex non aveva abbastanza riserve per coprire queste perdite, ed ha dunque trattenuto il 36% dei depositi di ciascun cliente, sostituendoli con un token chiamato BFX. I clienti avevano quindi due opzioni: potevano convertire i loro token in azioni Bitfinex ad un prezzo fissato dallo stesso exchange, oppure potevano tenere i token e sperare che Bitfinex potesse guadagnare abbastanza profitti per ripagarli al valore nominale.

Nei mesi successivi all’evento, alcuni clienti hanno optato per l’opzione di conversione delle azioni e, il 3 aprile 2017, Bitfinex annunciò trionfalmente di essere in grado di ripagare il 100 percento dei rimanenti token BFX.  Tuttavia, alcune persone si chiedevano ancora se Bitfinex avesse davvero raggiunto la solvibilità.  Il fatto che Bitfinex avesse assegnato dei crediti in denaro ai titolari dei token non significava necessariamente che Bitfinex avesse abbastanza denaro per riscattare tutti quei crediti se ogni cliente chiedesse il rimborso.

Non solo. Bitfinex aveva promesso un controllo completo dei suoi registri quando è stato annunciato l’hack. “Siamo in procinto di coinvolgere i Ledger Labs per eseguire una verifica del nostro bilancio”, ha scritto Bitfinex il 17 agosto 2016. Ma a distanza di mesi, Bitfinex ha improvvisamente annunciato che Ledger Labs “non è stato ingaggiato per eseguire un audit finanziario su Bitfinex”. Si scopre così che in realtà Ledger Labs non fa audit – ha detto Bitfinex. Successivamente, Bitfinex ha incaricato Friedman LLP di completare un audit completo del bilancio. Ma anche in questo caso, l’audit non è mai finito, trascinandosi per tutto il 2017 e nella prima parte del 2018. Il mese scorso, Friedman ha abbandonato Bitfinex e Tether come propri clienti, in silenzio e senza spiegazioni.

Insomma, sebbene occorra non correre a rapide conclusioni, sembra che questa sia una delle classiche situazioni in cui quel che non viene spiegato rischia di essere… una spiegazione sufficiente. Il fatto che Tether e Bitfinex in molti casi siano stati così poco chiari, e il fatto che una società di revisione si ritiri dal proprio cliente senza grandi dichiarazioni, non costituiscono certamente elementi di positivo supporto per i business della criptovaluta e dell’exchange.

Insomma, la considerazione sintetica di fondo è che, nonostante le promesse di Bitfinex, non c’è stata alcuna revisione professionale dei suoi bilanci. Bitfinex ha ripetutamente affermato di disporre di riserve sufficienti per riscattare tutti i depositi dei clienti, ma nessuna terza parte indipendente ha potuto verificare le richieste della società.

Gli analisti temono ora che gli investitori possano risvegliarsi in una brutta realtà: se Tether dovesse rivelarsi un tragico flop, sarebbe un colpo durissimo per le criptovalute.

Classe 1982, laureato in economia, specializzato in marketing internazionale, collabora con alcuni dei principali network editoriali italiani. Appassionato di finanza, presta servizi di consulenza editoriale dal 2002.