Per capital gain – detto anche guadagno in conto capitale o utile di capitale – si intende la differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario. Si pensi ad azioni, ma anche obbligazioni e Titoli di Stato. Infatti, le partecipazioni (qualificate e non qualificate) in società ed enti residenti e non residenti, oltre alla distribuzione eventuale di dividendi, consentono di conseguire guadagni in conto capitale nel caso in cui il prezzo di mercato al momento della vendita sia più alto rispetto a quello di acquisto.
Vediamo meglio di seguito cos’è il capital gain, come trattarlo fiscalmente e cosa cambia per le persone fisiche se scelgono il regime dichiarativo o il regime amministrato.
Sommario
Cos’è e come funziona il capital gain
Come si verifica il capital gain? Quando i possessori di strumenti finanziari li cedono prima della scadenza. Conseguendo, oltre alla remunerazione in forma di interessi, anche guadagni di capitale se il prezzo è più alto di quello di acquisto. I capital gain sono anche lo strumento per cui i gestori dei fondi di investimento sono remunerati. I gestori dei fondi infatti percepiscono generalmente una percentuale dell’incremento del valore del fondo gestito se questo si è rivalutato.
Il capital gain genera dunque una plusvalenza, costituita dalla differenza tra il prezzo percepito all’atto della cessione della partecipazione e il costo d’acquisto al lordo degli oneri accessori. Sono però esclusi eventuali interessi passivi, o il valore rideterminato in caso di rivalutazione delle partecipazioni stesse ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 448/2001, dell’art. 2 del D.L. n. 282/2002 e successive modificazioni.
Occorre comunque dire che, affinché si realizzi capital gain, le menzionate cessioni devono avvenire a titolo oneroso: compravendita, conferimento in società, datio in solutum, costituzione o cessione di diritto d’usufrutto. In virtù di ciò, strumenti come donazione e successione, non possono fruttare il capital gain, proprio perché costituiscono cessioni a titolo oneroso.
Soggetti che possono beneficiare del capital gain
Ogni Paese regola diversamente il capital gain. In Italia, come per altri ambiti, il Fisco fa differenza se il capital gain sia fruttato a persone fisiche o imprese e società. E lo fa in questo modo:
1. Persone fisiche: i guadagni di capitale, conseguiti cedendo partecipazioni non qualificate o altri titoli non azionari, sono soggetti ad un’aliquota fissa del 26%. La cessione di partecipazioni qualificate impone di dichiarare il 49,72% del capital gain, con successiva tassazione ordinaria.
2. Imprese e società: a bilancio, il capital gain viene considerato una plusvalenza. Si tratta di plusvalenze patrimoniali tassabili in base all’art. 86 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). La tassazione avviene nell’esercizio in cui il capital gain è effettivamente realizzato con la cessione dei titoli. Se invece si è verificata una perdita anziché un guadagno, è possibile dedurre dal reddito tassabile le minusvalenze calcolate in modo speculare alle plusvalenze, ovvero come differenza tra prezzo di acquisto e di cessione. Se i titoli, la cui cessione ha dato luogo al capital gain, sono stati iscritti come immobilizzazioni finanziarie negli ultimi tre bilanci, è prevista un’agevolazione (art. 86 comma 4 Tuir).
La società ha anche la possibilità di rateizzare in quote costanti nell’esercizio di realizzo e nei quattro successivi (tassazione differita). In tal caso, la plusvalenza continua a concorrere interamente all’utile dell’esercizio nel corso del quale è realizzata. La legge tiene infatti conto dell’occasionalità dei capital gain e del fatto che si tratta di redditi formatisi nel corso di più esercizi. Inoltre, dal 2004 è stata introdotta un’ulteriore agevolazione in presenza di determinati requisiti, la quale comporta la totale esenzione della tassazione sul capital gain. Ecco quali sono, che, ricordiamo, devono presentarsi contemporaneamente:
- possesso ininterrotto dal primo giorno del dodicesimo mese precedente la cessione;
- iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso dopo l’acquisto;
- residenza fiscale della società partecipata in un paese diverso da quelli inclusi nella lista degli stati a fiscalità privilegiata compilata dal Ministero delle Finanze (paradisi fiscali);
- esercizio di attività commerciale da parte della società partecipata.
Nonostante l’esenzione fiscale, va anche ricordato che minusvalenze e plusvalenze conseguite continuano a formare l’utile d’esercizio.
Come si calcola il capital gain
Vediamo ora come si calcola il capital gain. Sostanzialmente in due modi:
- calcolo del rendimento assoluto;
- calcolo del rendimento percentuale.
Il rendimento assoluto si calcola semplicemente facendo la differenza tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto dello strumento finanziario in questione.
Un po’ più complesso il calcolo del rendimento percentuale del capital gain: occorre rapportare tale differenza (il rendimento assoluto) al prezzo di acquisto. Facciamo un esempio: se un’azione è costata 10 euro e il capital gain generato è pari a 2, allora il rendimento percentuale sarà pari al 20%.
Come si calcola la base imponibile del capital gain
Fiscalmente il capital gain viene considerato tra i redditi diversi, vale a dire quei redditi prodotti dalle persone fisiche che rientrano nelle condizioni previste dall’articolo 67 lett. c e c-quinquies del TUIR. Per le imprese (individuali e societarie) le norme sul bilancio di esercizio impongono la rilevazione dei capital gain ovvero delle plusvalenze conseguite nell’ambito dell’attività imprenditoriale svolta. In questo caso, la categoria reddituale cui ricondurre il capital gain è quella dei redditi d’impresa, con riferimento particolare all’applicazione delle regole previste dagli articoli 86 e 87 del TUIR (tassazione plusvalenze patrimoniali e partecipatin exemption).
In virtù di ciò, la base imponibile fiscalmente è data dalla differenza tra il prezzo di vendita ed il costo fiscale dello strumento considerato.
Capital gain: regime dichiarativo o risparmio amministrato?
Le persone fisiche, quando acquistano uno strumento finanziario, devono scegliere anche il regime fiscale. Le opzioni in gioco sono due: o il regime dichiarativo o il risparmio amministrato. Ecco cosa cambia.
In caso di regime dichiarativo, l’investitore riceve il capital gain al lordo delle imposte. Ciò significa che dovrà essere lui a calcolare e versare le imposte secondo le scadenze previste per la dichiarazione dei redditi. Lo strumento dovrà essere il metodo LIFO (last in first out = l’ultimo a entrare è il primo a uscire), determinando così sia il rendimento ottenuto che le imposte da versare.
Nel caso in cui la scelta sia ricaduta sul risparmio amministrato, allora il calcolo della ritenuta d’acconto alla fonte sarà cura dell’intermediario finanziario. Sull’investitore non graveranno ulteriori obblighi fiscali in quanto devono essere gli stessi intermediari finanziari (banche, SIM, ecc.) a segnalare il rapporto di amministrazione all’Agenzia delle Entrate (articolo 7 d.p.r. 605/1973).
Come si può evincere da ciò, non cambia la sostanza dinanzi al Fisco, ma solo la procedura con cui dichiarare quanto versare. Nel primo caso la persona fisica avrà un importo lordo e sarà sua cura fare la detrazione. Nel secondo caso riceverà già l’importo al netto delle trattenute.