Tassazione Bitcoin per le società: come funziona?

Qual è la tassazione Bitcoin per le società? Come funziona tassazione Bitcoin per le società? La criptovaluta Bitcoin, lanciata nel 2009 dal misterioso Satoshi Nakamoto, del quale ancora oggi non si conosce la reale identità malgrado le varie ipotesi in campo, sta spopolando sui mercati finanziari. Il 29 novembre 2017 ha raggiunto perfino gli 11500 dollari per poi tornare a poco più di 8mila dollari. Ora bisogna capire se è iniziata la discesa, infatti ci sono già quelli che vorrebbero puntare contro di lui, oppure l’ascesa riprenderà. Per molti analisti, il Bitcoin raggiungerà stabilmente quota 10mila dollari entro la fine dell’anno, mentre qualcuno arriva a pensare che entro il semestre del prossimo anno arriverà a quota 500mila dollari.

Insomma, il Bitcoin è ancora una incognita e la sua volatilità ancora molto alta. Croce e delizia per i trader. Ma come funziona la tassazione del Bitcoin? Vediamo di seguito.

Tassazione Bitcoin per le società come funziona

Riguardo le operazioni sul Bitcoin poste in essere da persone fisiche titolari di partita IVA e società, le quali svolgono in modalità continuativa attività di acquisto/vendita di questa criptomoneta, se ne occupata l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione numero 72/E del 2 settembre 2016. Tale risoluzione ha toccato 2 aspetti:

  • il corretto trattamento che va applicato alle operazioni di acquisto e di cessione di moneta virtuale, ai fini dell’Iva e delle imposte dirette (quali Ires ed Irap)
  • se, sempre riguardo queste attività, la società debba agire quale sostituto d’imposta e quindi adempiere agli obblighi fiscali previsti in quale tale

Tassazione Bitcoin: il trattamento IVA

Partiamo con la prima domanda: come funziona il trattamento IVA per le operazioni di acquisto e di vendita di bitcoin? Quelle che riguardano lo scambio di valuta tradizionale con la moneta bitcoin, e viceversa, eseguite tramite il pagamento di una somma corrispondente al margine formato dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti, sono in tutto e per tutto prestazioni di servizio di tipo oneroso. A sancire ciò è la Corte europea che si è occupata del trattamento IVA dei bitcoin. Essa ha stabilito pertanto che il cambio di valuta tradizionale contro Bitcoin rientrano appieno tra le operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE.

Del resto, il fatto che manchi una precisa normativa applicabile al sistema delle monete virtuali, rende la succitata sentenza della Corte di Giustizia europea un punto di riferimento dal punto di vista della disciplina fiscale IVA che viene applicata alle criptovalute e, più precisamente, ai bitcoin. Una normativa ad hoc per le monete virtuale – ormai entrate in tutto e per tutto tra gli asset più importanti sui mercati finanziari – si rende necessaria. Anche perché, gradualmente, le criptomonete saranno sempre più parte dell’economia reale. E le leggi non possono restare indietro.

Quindi, ai fini del trattamento Iva, le transazioni con il Bitcoin, pur non rientrando nelle valute non tradizionali (quindi diverse dalle monete che godono di un valore liberatorio in uno o più Paesi), costituiscono in tutto e per tutto operazioni finanziarie, in quanto tali valute “sono state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”. Ecco perché quindi sono operazioni che rientrano a pieno titolo tra quelle di servizi esenti da IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 3), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Bitcoin, come funziona tassazione Ires e Irap

Sempre stando a quanto prevede l’orientamento giurisprudenziale europeo, per la tassazione diretta, è previsto che i contribuenti titolari di partita IVA debbano sottoporre ad imposizione quelle parti di reddito che derivano dalla intermediazione di acquisto e di vendita di bitcoin, sottratti i relativi costi che riguardano questa attività. A stabilirlo la risoluzione 72/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate, la quale afferma sancisce che:

  • in caso di ordine di acquisto, il cliente anticipa le risorse finanziarie alla Società che, una volta acquistati bitcoin, registrerà nel portafoglio virtuale del cliente (chiamato in gergo wallet) i codici riguardanti i bitcoin acquistati
  • in caso di ordine di vendita, viceversa, la Società preleva dal cliente i bitcoin e gli accredita, una volta eseguita la vendita, la somma che gli conviene

Guadagno o perdita di competenza della Società, viene stabilito dalla differenza tra quanto viene anticipato dal cliente e quanto invece è stato speso dalla Società per l’acquisto. O, ancora, tra quanto incassato dalla Società per vendere e quanto riversato al cliente. Questa porzione di reddito che deriva dalla differenza (che come visto può essere positiva o negativa) tra i prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente (qualora egli abbia affidato alla Società l’ordine di acquistare) o tra prezzi di vendita applicati all’istante e i ricavi di vendita garantiti al cliente (nei casi di affidamento di incarico a vendere) – si ascrivono ai ricavi (o ai costi) caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata. Quindi, contribuiscono nella loro natura di elementi positivi o negativi alla formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini Ires ed Irap.

Bitcoin e tasse per società

Quindi, ricapitolando, come comportarsi di fronte al Fisco quando si opera con Bitcoin? L’interpello proposto all’Agenzia, riguardava il quesito di una società che voleva svolgere un’attività di servizi tramite criptovaluta Bitcoin, eseguendo quindi per conto della propria clientela, acquisto o vendita di questa moneta digitale. Ma non sapeva, essendo una materia del tutto nuova anche per il Fisco italiano stesso, in merito alle tasse da pagare. Nella fattispecie, nei confronti di IVA, Ires e Irap.

Ecco cosa ha affermato l’Agenzia delle entrate. Innanzitutto, l’organismo che gestisce il Fisco italiano, ha chiarito cosa sia il Bitcoin:

Trattasi di una criptovaluta, ovvero di una moneta “virtuale”, usata come moneta alternativa a quella tradizionale. Tali monete digitali hanno 2 caratteristiche su tutte:

  1. non hanno natura fisica, ma digitale, date che vengono ideate, memorizzate e utilizzate non su supporto fisico bensì su dispositivi elettronici (Pc, smartphone o tablet), tramite i quali sono conservate in portafogli anch’essi digitali (i già citati wallet)
  2. I Bitcoin sono emessi e funzionano tramite alcuni codici crittografici e complessi calcoli algoritmici

Proseguendo nella sua premessa su cosa siano i Bitcoin, l’Agenzia delle entrate afferma che i bitcoin vengono generati grazie alla creazione di algoritmi matematici, tramite un processo di mining (traducibile in “estrazione”) e i soggetti preposti al mining vengono definiti miners. Poi l’Agenzia spiega cosa sia la Blockchain, affermando che lo scambio di questi codici criptati tra gli utenti (user), operatori economici e privati che siano, avviene tramite una applicazione software. Per utilizzare i bitcoin, gli utenti hanno due opzioni per entrarne in possesso:

  • acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta legale
  • accettandoli come corrispettivo per la vendita di beni o servizi.

Gli user utilizzano monete virtuali in alterativa alle valute tradizionali soprattutto come mezzo di pagamento in sede di acquisto di beni e di servizi, ma anche (e noi aggiungeremmo anche soprattutto) per fini speculativi tramite le piattaforme di on line che consentono lo scambio di bitcoin con altre valute tradizionali sulla base del relativo tasso cambio (i cosiddetti exchange).

Fatta questa premessa, per quanto concerne il loro trattamento fiscale da applicare alle operazioni di acquisto e vendita che si fanno coi bitcoin e, in generale, alle valute virtuali, l’Agenzia ha chiarito che, anche considerando quanto sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14, “l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce una attività rilevante oltre agli effetti dell’Iva anche dell’Ires e dell’Irap.”

Dunque, tradotto in soldoni, anche le criptomonete, per quanto siano virtuali, non sfuggono al pagamento di Ires e Irap. Dovuto dalle società per le operazioni ordinarie. Quindi anche la società che ha posto l’interpello, dato che guadagna tramite commissioni che scaturiscono dalla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che vuole acquistare o vendere bitcoin e la migliore quotazione che la Società operante trova sul mercato, deve essere considerata ai fini Iva come prestazione di servizi esenti ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 3), del d.P.R. 633/72.

Pertanto, per quanto concerne la tassazione diretta, la Società come detto deve considerare come parte da tassare le parti di reddito che derivano dalla quella attività di intermediazione per acquisto e vendita di bitcoin, al netto però dei relativi costi inerenti a detta attività. Dunque, va fatto un calcolo minuzioso, che prenda in considerazione solo la parte relativa all’intermediazione e pure al netto dei costi che essa comporta.

Bitcoin e tasse per persone fisiche

Riguardo invece la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società, vale a dire le persone fisiche che hanno i bitcoin in maniera autonoma rispetto all’attività d’impresa, ricordiamo che le operazioni a pronti (vale a dire quelle eseguite per gli acquisti e le vendite) di valuta non generano redditi imponibili, poiché manca la finalità speculativa.

Quindi, in parole povere, la Società non deve ad alcun adempimento nelle vesti di sostituto d’imposta.

Bitcoin, come comportarsi col Fisco

Come comportarsi col Fisco italiano se si opera con i Bitcoin? Cercando di riassumere e rendere quanto più semplice possibile quanto detto fino ad ora, possiamo riassumere il rapporto tra Fisco italiano e Bitcoin in questi 3 punti:

  • IVA: prestazione di servizi esenti ex art. 10 DPR 633/72
  • Imposte sui redditi: la base imponibile è composta dai componenti positivi dell’intermediazione, al netto degli oneri sostenuti
  • Imposte sui redditi per i clienti della società: non è previsto alcun adempimento dato che non ha finalità speculativa

Il Fisco italiano ha quindi deciso di tassare solo le plusvalenze, il cosiddetto capital gain, su valute estere acquistate o detenute per finalità d’investimento. Quindi, il Legislatore ha scelto di considerare tenute per scopi speculativi solo le valute estere cedute a termine o rivenienti da depositi o conti correnti. Al fine di non tassare importi non significativi sono escluse dalla tassazione le plusvalenze, nel caso in cui la giacenza totale di tutti i depositi e conti correnti in valuta intrattenuti non superi i 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.

Quindi il Fisco, per ridurre il concetto ai minimi termini, ha così deciso di agire: non ci sono conti correnti né deposito e quindi l’utilizzo non è imponibile. Secondo un articolo de IlSole24Ore, il più importante giornale economico italiano, però, questa scelta è confutabile per queste ragioni:

  1. Il bitcoin non è una moneta, non è una valuta vera e propria, né può esserlo. Rientra tra i mezzi di pagamento semplice su base volontaria (come sancisce la Sentenza C-264/14)
  2. Il Bitcoin è da considerarsi una moneta, ma con queste caratteristiche: moneta merce senza oro, è moneta a corso forzoso senza Stato ed è moneta bancaria senza banca. E’ dunque qualcosa di diverso, innovativo e che non può essere incluso in queste categorie conosciute.
  3. La normativa fiscale italiana non chiarisce il concetto di moneta e di valuta estera.
  4. L’assimilazione tra Bitcoin e valuta estera contrasta con i principi generali

Si rischia di far ritenere che le plusvalenze derivanti dall’utilizzo di bitcoin non siano imponibili. Invece, le plusvalenze derivanti dall’utilizzo di bitcoin sono comunque da considerare redditi diversi di natura finanziaria giacché non sono valute estere ma, sono assimilabili a titoli non rappresentativi di merce. A riprova di ciò, vi è il fatto che la Risoluzione adottata dall’Agenzia delle entrate, include gli operatori che svolgono professionalmente l’attività di acquisto e vendita di monete virtuali ai tradizionali cambiavalute.

Tuttavia, tale accostamento non tiene conto delle evoluzioni a livello europeo, le quali invece introducono:

  1. La definizione di valuta virtuale identifica una rappresentazione digitale di valore non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica e non è per forza collegata ad una moneta a corso legale. Ma viene accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di pagamento e può essere trasferita, immagazzinata o scambiata elettronicamente.
  2. La definizione di operatori che svolgono in maniera professionale l’attività di acquisto e di vendita di monete virtuali (i cosiddetti Exchanger), che si aggiungono ai cambiavalute.

Vale poi la pena sottolineare come l’European Banking Authority non fa invece questo accostamento, visto che nella sua Opinione sulle Valute Virtuali, ritiene che l’uso del termine “moneta” per i Bitcoin è ingannevole per molti motivi.

Quindi, in conclusione, si può tranquillamente ritenere che il cambio di Bitcoin e altre tra le circa 100 criptovalute in circolazione nei confronti di valuta a corso legale rilevi fiscalmente (plusvalenza o minusvalenza che sia). Mentre l’utilizzo come mezzo di pagamento rileva a livello fiscale solo in determinati casi.

Bitcoin nella dichiarazione dei redditi

Una persona fisica deve inserire la compravendita di Bitcoin nella dichiarazione dei redditi? L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che le persone fisiche che detengono Bitcoin al di fuori di una società d’impresa, le operazioni di compravendita non generano redditi imponibili in quanto non sono attività di natura speculativa. Cosa significa ciò? Che la compravendita di Bitcoin eseguita da persone fisiche non è soggetta a dichiarazione dei redditi.

Bitcoin e antiriciclaggio

Cosa prevede la normativa antiriciclaggio sui Bitcoin? Attenendosi alle regolamentazioni europee, l’Agenzia delle Entrate precisa che le società che offrono ai propri clienti l’attività di trading, negoziazione e intermediazione di criptovalute devono rispettare gli obblighi connessi all’adeguata verifica della clientela, alla registrazione ed inoltre anche alla comunicazione all’Uif (acronimo di unità di informazione finanziaria), come previsto dal D.Lgs. n. 231/2007.

Bitcoin esenti da IVA?

Quindi, l’Iva non va applicata sulle transazioni eseguite tramite Bitcoin? La risposta è No. Le transazioni aventi a oggetto monete virtuali sono esenti da IVA. E per due motivi:

  • è confermato il principio secondo cui i bitcoin non sono beni materiali, in quanto non svolgono finalità diverse da quella di mezzo di pagamento
  • in relazione al primo punto, ne deriva che le transazioni bi-direzionali di scambio di bitcoin contro monete legali sono prestazioni di servizi che, se svolte a titolo oneroso, rientrano nel campo oggettivo di applicazione dell’IVA

la Direttiva IVA (art. 135, par. 1, lett. e), Direttiva 2006/112/CE) prevede che le transazioni che hanno come oggetto divise, banconote e monete che hanno valore legale beneficiano dell’esenzione IVA. Perché? In quanto si vuole preservare il funzionamento efficiente del mercato interno, che risulterebbe invece ostacolato dall’applicazione IVA sulle transazioni monetarie. Ancora, le criptomonete sono in tutto e per tutto meri mezzi di pagamento, e ciò vuol dire che le transazioni in bitcoin devono rientrare nel regime di esenzione IVA.

L’esenzione IVA delle transazioni di scambio di bitcoin in moneta legale riporta in auge l’ indetraibilità dell’IVA dovuta per gli acquisti. Per le società che svolgono attività di cambio valute (gli exchange), se è vero che non addebiteranno ai clienti l’importo dell’IVA, le stesse non potranno dedurre l’IVA sostenuta sull’acquisto di beni e servizi strumentali all’attività d’impresa. Pensiamo ai canoni pagati per la concessioni in licenza di software (si pensi ai software per l’accesso alle piattaforme di pagamento online), al costo di acquisto di componenti hardware o ai canoni di locazione degli uffici ed alle spese generali.