Russia: in arrivo nuove regolamentazioni per le criptovalute?

Russia regolamenta criptovalute per il 2018? Le criptovalute sono l’asset del futuro. Ma anche già del presente, dato che muovono centinaia di milioni di dollari in termini di volume d’affari. Oltre ad aver creato una febbre da trading nel 2017, che ha visto come protagonista soprattutto la prima criptovaluta lanciata nel 2009 dal misterioso Satoshi Nakamoto: il Bitcoin. Il quale, come ormai sanno pure i meno esperti di borse, ha sfiorato quota 20 mila dollari a fine 2017. Per poi rimbalzare e scendere fino a 13mila dollari. Grazie anche al lancio da parte della Borsa di Chicago (la più importante in termini di CFD) di un Future sul Bitcoin.

Un po’ tutte le criptovalute, seppur con proporzioni nettamente diverse, hanno comunque conosciuto nel corso del 2017 una crescita del proprio valore. Sebbene nelle ultime settimane dell’anno abbiano invece riconosciuto una flessione, eccetto Ripple, in autentico trampolino di lancio. Ma Ripple è una criptovaluta particolare, che fa caso a sé. Essendo anche un sistema per la conversione di valute tra loro diverse senza passare per il dollaro e non prevedendo mining, ma venendo emessa da sedi centrali (in California). Il 2018 potrebbe essere l’anno di Ripple, anche perché, rispetto allo sfuggente Bitcoin che molti governi avversano, questa criptovaluta made in Usa viene già utilizzata da molte banche. Tra cui Bank of America e la spagnola Santander. Oltre ad essere nel mirino delle prestigiose Bank of Japan e la Bank of England. Del resto, utilizzare Ripple consente di abbattere i costi alla stessa Banca, che può così fornire un servizio più economico alla clientela. Ma, al contempo, più veloce e funzionale.

Ma Ripple a parte, le criptovalute sembrano destinate ad incassare un importante riconoscimento: quello della Russia. Superpotenza mondiale che, come noto, l’ha messa al bando insieme alla Cina. Il che controbilancerebbe il freno che invece ha posto la Corea del sud, dove è invece impazzata la febbre da Bitcoin, con il governo costretto ad una stretta severa nei confronti delle piattaforme che ne offrono trading e acquisto. Fino ad oggi lasciate troppo libere di fregare il prossimo. Ma torniamo alla Russia, vedendo cosa ha deciso il paese guidato dall’eterno Vladimir Putin. Anche perché, se malgrado le strette delle due storiche antagoniste degli Usa, il Bitcoin ha sfiorato quota 20mila dollari, non osiamo immaginare dove possa arrivare se anche Russia e Cina decidessero di legittimarle…

Russia legalizza criptovalute?

Le notizie che arrivano dalla Russia sono sempre criptiche (potremmo parlare di criptonotizie, per restare in tema), in quanto, sebbene l’Unione sovietica sia ormai morta da quasi un trentennio, lì la libertà politica e d’informazione sembra essere cambiata poco. Nonostante gli sforzi di Michail Gorbaciov, vanificati dal golpe di Boris Eltsin (del quale Putin era, guarda caso, proprio il delfino). A fine 2017 sul web si è diffusa la notizia che secondo un alto funzionario governativo, si prevede che le nuove leggi sulle criptovalute verranno introdotte per la considerazione ufficiale della legislatura nazionale russa il 28 dicembre.

Fonti dei media russi RIA e TASS hanno citato i commenti del parlamentare Anatoly Aksakov, il quale presiede il comitato dei mercati finanziari della Duma (il parlamento russo). Secondo Aksakov, le nuove regole formalizzeranno la creazione e lo scambio di criptovalute come il Bitcoin. Queste le sue parole ufficiali:

Mi aspetto che l’approvazione del progetto di legge sulle [criptovalute] avverrà a marzo … Il problema è che abbiamo già un sacco di persone che acquistano [criptovalute] e vengono ogni giorno ingannati, dobbiamo dare alle persone l’opportunità di lavorare legalmente con le crypto, per proteggerli il più possibile”.

Già nel settembre 2017, il presidente del Comitato dei mercati finanziari della Duma ha ritenuto che il lavoro poteva essere concluso prima dell’inverno. La misura ha subito una serie di ritardi dovuti, in parte, a visioni contrastanti sull’ambito di applicazione delle leggi proposte. Ad oggi però, a parte questi buoni propositi, non sembra essere arrivato nulla di concreto. O almeno, dalla misteriosa Russia non è arrivata alcuna notizia “con amore”.

Russia ha bloccato criptovalute nell’ottobre 2017

Ma facciamo un passo indietro, quando la Russia ha deciso di mettere al bando le criptovalute nell’ottobre 2017. Il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov, aveva così commentato la decisione delle Autorità nazionali: “Il Presidente [Putin, ndr] ha parlato dei problemi relativi alle croptovalute. Queste sono difficoltà riguardanti … il riciclaggio di denaro e casi legati a problemi di identificazione”.

Siluanov ha però anche aggiunto che il governo russo è al contempo intenzionato a regolamentare il mercato delle criptovalute, controllandone direttamente i flussi in collaborazione con la banca centrale e coinvolgendo il Federal Tax Service per tassare coloro che detengono le criptovalute.

Insomma, la Russia ha bandito le criptovalute poiché sfuggono al controllo di banche centrali e governo centrale. Proprio lo scopo per cui sono state create. Sempre all’indomani della stretta, il direttore della banca centrale Sergei Shvetsov ha spiegato che i siti che praticano la compravendita di Bitcoin e delle altre monete digitali, sarebbero stati resi inaccessibili a livello nazionale. Aggiungendo poi che il governo russo non può permettere che “gli investitori finali abbiano accesso semplice e diretto a degli strumenti dall’affidabilità così dubbia”. Del resto, sebbene la Russia si sia aperta al libero mercato e ai capitali stranieri, si tratta pur sempre di una apertura parziale, che sicuramente non abbraccia il capitalismo ma preserva sempre una certa centralità dello Stato.

Sempre il direttore della banca centrale Sergei Shvetsov, ha inoltre aggiunto che c’è la possibilità concreta che questo tipo di risorsa si trasformi da un sistema di pagamento, com’è ora, a un titolo ad alto rendimento ma dal rischio molto elevato. In effetti aveva ragione. Il Bitcoin non è più solo un sistema di pagamento alternativo a quello tradizionale usato dai Nerd e qualche appassionato di tecnologia. Bensì, è diventato un asset su cui investire, che ha sfiorato i 20mila dollari. Del resto, quando la Russia ha deciso la stretta, era arrivato a sfiorare i 5mila dollari. Cifra già ritenuta oltre il livello di guardia.

Infatti, Shvetsov ha concluso il suo intervento affermando che le autorità russe ritengano che per i loro cittadini e per le aziende russe “l’uso di queste criptovalute come veicolo d’investimento comporti rischi irragionevolmente elevati”. Tuttavia, fin dagli inizi, questa stretta relativa alle criptovalute è sempre stata considerata più un blocco momentaneo in attesa di una regolamentazione. Che per ora però non era ancora arrivata. Anzi, ad ottobre si era anche paventata la possibilità che venisse lanciata una criptomoneta russa: il Criptorublo. Ma ce ne occuperemo meglio a breve.

Putin cosa pensa delle criptovalute

Nell’ambito di questo blocco russo alle criptovalute, le linee guida sono state dettate dallo stesso ormai ventennale presidente Vladimir Putin in un incontro a Sochi di quei giorni, con il governatore della Banca centrale, Elvira Nabiullina, il ministro delle Finanze, Anton Siluanov, il consigliere economico del Cremlino, Andrei Belousov, e Serghei Solonin, direttore generale della società Qiwi, che gestisce il più grande sistema di pagamenti elettronici del paese. “L’uso delle criptovalute comporta seri rischi”, ha avvertito Putin, tra cui il riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e il finanziamento del terrorismo. “Inoltre, non vi è sicurezza per le criptovalute”, ha proseguito, “se il sistema collassa o se si verifica una bolla, non ci sarà un’entità legale che ne sarà responsabile. Questa è una questione seria, che dobbiamo tenere a mente quando parliamo di un tale argomento”.

Ma messa al bando a parte, Putin ha anche intenzione di impostare “un sistema normativo che renda possibile codificare le relazioni in questa sfera, proteggere in modo affidabile gli interessi dei cittadini, del business e dello Stato e fornire le garanzie legali per l’uso di strumenti finanziari innovativi”. Infine, il Presidente russo, che peraltro ha già detto di ricandidarsi, sovvertendo le voci che lo volevano malato e in ritiro a vita privata, ha anche ammesso che “è importante non porre troppe barriere, ma piuttosto fornire le condizioni fondamentali per aggiornare e far progredire il sistema finanziario nazionale”.

Alla Russia piace Ethereum

Sarà perché l’ha creata un russo, fatto sta che la Russia sembra più appassionata di Ethereum. Secondo quanto risulta a Bloomberg nel giugno 2017, la Russia, sempre nel progetto di lanciare il Criptorublo, starebbe prendendo in seria considerazione di basarla sulla tecnologia della Blockchain alla base di Ethereum. In realtà, la Banca centrale russa si è mossa ha già da tempo con un progetto pilota che utilizza la blockchain di Ethereum per elaborare pagamenti. Così come la banca statale russa Vnesheconombank, che fornisce finanziamenti per progetti finalizzati allo sviluppo, ha sfruttato la potenzialità di Ethereum ad inizio giugno per alcune funzioni amministrative.

E questo almeno iniziale tap-in in favore di Ethereum aveva portato la criptovaluta a beneficiarne in termini di quotazione in Borsa. Uscita questa notizia, infatti, Ethereum ha subito raggiunto il livello record di 407,10 dollari (+5.000% da inizi 2017 quando si muoveva intorno ai 7,98 dollari). A livello di capitalizzazione di mercato, Ethereum valeva 36 miliardi, seconda solo al Bitcoin che aveva raggiunto quota 49 miliardi di dollari. Ora la forchetta come detto si è allargata di molto tra le due. Ma chissà che nel 2018 il lancio del Criptorublo sulla base del Blockchain Ethereum possa rilanciare l’idea geniale di Vitalik Buterin.

Non solo Russia: la stretta della Cina

E non è un caso che un altro Paese post-comunista (perché di questo si tratta), la Cina, sempre ad ottobre 2017 abbia deciso una stretta nei confronti del Bitcoin. Partendo dalle Ico. La decisione della banca centrale cinese di mettere al bando le ICO (Initial Coin Offering), aveva fatto perdere valore alle criptovalute. Il Bitcoin perse il 7,2 per cento, toccando quota 4530 dollari, dai 5mila a cui era arrivato. Sebbene poi sappiamo che si sia trattato di una flessione momentanea.

Perchè le Ico incidono sulle criptovalute? In quanto le Ico sono imprese di piccole e medie dimensioni o semplici startup che le utilizzano per raccogliere i fondi necessari al fine di portare a termine nuovi progetti. In praticano, i finanziatori utilizzano criptomonete per investire capitali nelle società che danno in cambio dei “token”. Il finanziatore guadagna se l’attività della società finanziata si rivela redditizia e perde in caso contrario.

Lo strumento finanzario più simile alle ICO è rappresentato dalle IPO (Initial Pubblic Offering): la differenza sta nel fatto che con le IPO si acquistano quote azionarie utilizzando la moneta della nazione in cui la società si quota in borsa e che un ente di vigilanza controlla la regolarità dell’operazione (la Consob nel nostro Paese), mentre con le ICO vengono acquistati token con criptomonete e manca un’autorità di controllo. Non a caso le ICO sono definite “white paper”, il corrispettivo italiano di “cambiali in bianco”, proprio perché sono progetti con poche certezze, poche cose messe nere su bianco.

La commissione della banca centrale cinese ha stilato un elenco di 60 piattaforme che si occupano di finanziamenti tramite ICO. Le criptomonete sono state invece congelate. Due delle principali piattaforme cinesi per le ICO, ovvero ICOage e ICO.info, hanno sospeso volontariamente le proprie attività. Come riporta il quotidiano cinese Caixin, oltre il 90% dei progetti Ico potrebbero aver violato le leggi di raccolta di fondi o essere casi di frode. La percentuale di progetti che avevano effettivamente raccogliendo fondi per gli investimenti si attesta a meno dell’1%. Quindi il rischio frode è altissimo e si sa, in Cina le frodi sono punite severamente. E la semplice detenzione potrebbe essere la migliore delle ipotesi per chi commette illeciti finanziari a danno dello Stato.

In realtà, anche la SEC (Security Exchange Commission) statunitense, sempre nel mese di ottobre 2017 (da ribattezzare a questo punto “caccia a ottobre Bitcoin”) ha manifestato perplessità nei confronti delle ICO. E ha inizialmente paventato la possibilità di una stretta nei loro confronti. Poi non più verificatasi. Del resto, i casi di ICO finite male sono già tante. Ecco qualche esempio:

  • Tezos
  • Gnosis
  • Tenx
  • Bancor
  • Basic

Ma per fortuna ci sono anche criptovalute nate da ICO dal grande successo. Si pensi ad Ethereum, creata proprio da un diciannovenne russo: Vitalik Buterin. Nato a 100 chilometri da Mosca ma emigrato a soli 5 anni in Canada. Ethereum si distingue dalle altre criptovalute in quanto, oltre ad essere una semplice moneta digitale, consente anche di creare smart contracts. Contratti digitali applicabili ad ogni settore commerciale. Ethereum è diventata ben presto l’alter ego di Bitcoin e seconda stabilmente per volume di transazioni. Sebbene nel momento in cui vi scriviamo, Ripple abbia scalzato dopo tempo il suo secondo posto. Ethereum si attesta a 84.949.804.635 dollari, mentre l’attuale capitalizzazione di mercato dell’XRP è pari a 105.943.038.545 dollari (fonte Coinmarketcap). Bitcoin è a 250.696.355.098.

Ma dopo la scelta sulle ICO, un’altra stretta del governo cinese ha riguardato proprio le criptovalute. Secondo quanto diffuse “China Business News”, media ritenuto largamente autorevole, le autorità di Pechino, dopo aver messo un freno alla quotazione sul mercato di nuove monete elettroniche, avrebbero mposto anche il blocco degli scambi sulle borse dedicate a questo nuovo fenomeno. Lo stop ha colpito BTC China che ha deciso di chiudere le sue attività sulla criptovaluta. Si tratta di una delle maggiori piazze in Cina per questo tipo di scambi.

Dopo questa decisione, si è temuto il peggio, dato che le criptovalute hanno preso piede negli ultimi anni soprattutto proprio in Cina. Ad attirare è sicuramente l’anonimità che garantiscono le criptovalute. Ma la Cina, la cui economia è centralizzata seppur protesa al capitalismo, non può permettersi di queste furbate. Comunque, come la Russia anche la Cina sembra voler tornare sui propri passi in questo 2018.

E per chiudere con la caccia al Bitcoin di ottobre 2017, dopo Russia e Cina ci si mise pure il numero uno di JP Morgan, Jamie Dimon, che aveva definito una truffa la criptovaluta. «Farà una brutta fine» era stata la sua profezia. Ma poi, dopo qualche giorno, JP Morgan è diventato tra i principali acquirenti del Bitcoin. Un paradosso quasi fantozziano oseremo dire.

Russia, dove è finito il Criptorublo?

Ma a parte la stretta, la Russia avrebbe dovuto dare un secondo colpo al Bitcoin. Qualche giorno dopo quella notizia, si era parlato della nascita un CriptoRublo controllato dal governo federale russo. A darne notizia prima di tutti CoinTelegraph e alcune fonti di informazione locali russe, le quali hanno citato il Ministro delle Comunicazioni Nikolay Nikiforov come fonte. I dettagli sul presunto CriptoRublo sono però state fin dalle prime ore alquanto scarsi. Eppure se ne è parlato dall’estate 2017. Secondo quanto riportato, sebbene anche questa valuta si basi sul sistema blockchain, non sarà possibile minarla tramite i metodi tradizionali, ma verrà rilasciata dal governo come se fosse una classica moneta a corso legale. Dunque, verrebbero meno i due presupposti principali delle criptovalute: la decentralizzazione e l’indipendenza.

Il controllo del CriptoRublo da parte del governo russo, si era detto, avrebbe consentito di convertirlo gratuitamente in rubli tradizionali. Sebbene non si disse come. Le dichiarazioni ufficiali, o presunte tali, indicano il CriptoRublo come un passaggio necessario per evitare che l’economia online russa possa essere dominata da una valuta straniera. Anche per evitare, come avrebbe detto Nikiforov, che l’economia russa venisse sottoposta alle regolamentazioni di autorità terze. Si pensi all’Unione europea. Del resto, da tempo l’occidente sta cercando di circondare la Russia e metterla in un angolo. Si pensi alle basi che la Nato sta piazzando nei paesi che la circondano. Una prova di nervi esplosa poi nella guerra civile in Ucraina e nella crisi di Crimea del 2014.

Il governo russo non riesce comunque a garantire che il CriptoRublo possa rappresentare un canale limpido e trasparente, in grado di contrastare fenomeno come i traffici illeciti e il riciclaggio di denaro. Dalle prime informazioni, si era detto che per poter usare il CriptoRublo sarebbe stato necessario possedere una prova certificata dell’origine della valuta, al fine di tracciarne il suo percorso. Qualora non si possieda questo famigerato certificato di autenticità, verrà applicata una tassazione del 13% sulla valuta scambiata. Un valore per la verità alquanto permissivo, che consentirà di riciclare facilmente qualsiasi somma di denaro proveniente da fonti non verificabili, rendendola nuovamente tracciabile e legale da quel momento in poi.

Stando sempre alle prime indiscrezioni, una tassa sempre del 13% doveva essere applicata anche a tutti gli altri apprezzamenti della valuta, probabilmente al fine di disincentivare l’uso speculativo del CriptoRublo. Insomma, se da un lato si vuole controllare questo nuovo mondo finanziario sempre più irruente nel mondo economico tradizionale, dall’altro le autorità russe sembrano voler tenere le maniglie governative più lasche per non opprimere del tutto quanto di buono possa comunque ricavare da questo CriptoRublo. Del quale però per ora resta solo un nome un progetto non andato in porto.

Russia come mega-hub internazionale di criptovalute

Ma CriptoRublo a parte, nel mese di novembre successivo si era avanzata un’altra ipotesi: quella di creare una “mining-town” in Russia per le operazioni di mining delle criptovalute. L’iniziativa, come aveva riportato per prima la Ria Novosti, è del deputato Boris Chernyshov. A suo dire, sempre più persone stanno affittando posti in ‘mining-hotel’ o costituendo propri ‘mining farm’. Vale a dire le fabbriche di criptovalute dove si generano le monete virtuali. Per questo, la Russia potrebbe utilizzare il fenomeno per creare una nuova fonte di reddito per i cittadini e di introiti per le casse pubbliche. Chernyshov aveva anche pensato di creare questa criptocity ai confini della Cina, che invece come detto le ha vietate. Così da creare un nuovo business, un turismo delle criptovalute. Portando quindi investimenti esteri, diventando quello che lui definisce “un driver per la crescita”.

Questa mining-town avrebbe dovuto essere realizzata in Siberia o nell’Estremo oriente russo, vicino a una grande centrale idroelettrica. Posti dove un tempo venivano deportati i nemici politici, mentre oggi potrebbero diventare una sorta di Las Vegas delle criptovalute. La Russia, peraltro, sarebbe l’ideale per un simil progetto:le operazioni di mining richiedono come noto un grande dispendio di energia e ciò le rende una operazione molto difficile e lontana rispetto alle idee iniziali del sedicente Nakamoto. Invece la Russia ne ha in quantità abnormi e proprio per questo a basso costo. Diventerebbe pertanto una CriptoMecca o una CriptoHelldorado.

Alle autorità russe le idee di certo non mancano, così come la fantasia. D’altronde, stiamo pur sempre parlando del Paese che ha lanciato il primo uomo e la prima donna nello Spazio. Il Paese non vorrebbe bandire le criptovalute (sebbene per ora lo abbia fatto), ma vorrebbe controllarne emissione e circolazione. Rendendole una moneta come le altre, poco cripto e molto valuta. Di qui l’idea del “Criptorublo”. La Federazione punterebbe, secondo alcuni analisti, però anche ad aggirare tramite le monete virtuali le sanzioni finanziarie, varate nei suoi confronti tre anni fa da parte di Usa e Ue.

Chernyshov ha spiegato che le cryptocurrency possono diventare un’importate aerea dello sviluppo dell’innovazione, e sulla base di una mining-town si potrebbe creare un intero cluster tecnologico, in grado di competere con la Silicon Valley.

E cosa dice in tutto questo il governo russo? Il presidente della Commissione per la Politica economica e lo sviluppo innovativo alla Duma, Serghei Zhigarev, ha dato il suo sostegno all’iniziativa ma ha invitato a non correre troppo, specificando che una mining-town potrà essere creata solo dopo l’adozione di una legge che regolamenti le criptovalute nella Federazione, come ha chiesto lo stesso presidente Vladimir Putin. L’idea di costruire una città-miniera in Russia comporta “molti rischi”, ha avvertito dal canto proprio Vladimir Gutenev, primo vice presidente della Commissione per la politica economica e lo sviluppo innovativo alla Duma. La bolla come una proposta populista, che non porterà alcun vantaggio né alla città né ai suoi abitanti, perché non è realizzabile”. Il pericolo, a suo dire, è sempre legato al rischio terrorismo o al foraggiamento di organizzazioni illegali (la Russia è vittima ancora del terrorismo ceceno). Oltre ai rischi per i cittadini impreparati davanti alle criptosirene dei guadagni.

Non solo Russia e Cina: il Bitcoin nel resto del Mondo

Strette di Russia e Cina come viene considerato il Bitcoin nel resto del Mondo? Sempre in autunno, anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva pensato ad una stretta sul Bitcoin e le criptovalute in generale. Sempre preoccupato dal loro essere sfuggenti al controllo di governi e banche centrali. Tuttavia, non è più tornato sul tema. Anzi, da dicembre è arrivata una notizia che va in tutt’altra direzione: la CME (acronimo di Chicago Mercantile Exchange), vale a dire la più grande borsa di trading di strumenti derivati al mondo, ha lanciato il contratto future per i Bitcoin a partire dal 10 dicembre. La CME di Chicago poggia così un mattone fondamentale per la legittimazione del Bitcoin. Infatti, non è un caso che dopo questa importante legittimazione il prezzo del Bitcoin sia ulteriormente volato. Passando dai già sorprendenti 8mila dollari a quasi 20mila in un paio di settimane. Prima ancora della CME di Chicago, però, il Chicago Board Options Exchange (CBOE) ha ricevuto l’approvazione da parte della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) degli Stati Uniti per elencare i contratti futures bitcoin sulla sua piattaforma di trading e in borsa. Ciò vuol dire che CBOE offrirà il trading di futures bitcoin su CFE, la sua borsa dedicata specificamente ai future. I future verranno negoziati sul CFE con il simbolo “XBT”. Un altro importante avallo istituzionale al Bitcoin.

Ma non solo Usa. Negli Emirati sta nascendo un autentico Petrolcripto. Gli imprenditori britannici Michelle Mone e Doug Barrowman hanno annunciato nel giugno 2017 che la commercializzazione in bitcoin del complesso Aston Plaza and Residences di Dubai, costituito da due torri residenziali di 40 piani, sarebbe servito come apriporta ad un pubblico mainstream e avrebbe garantito un ritorno del 9% sull’investimento fatto. Gli appartamenti, da completare entro settembre 2019, saranno venduti ad un prezzo di partenza di 30 bitcoin, per un valore di oltre 133mila dollari. Mone, fondatrice del brand di intimo Ultimo e legislatore della Camera dei Lord di Londra, è convinta della trasparenza delle transazioni in bitcoin. “È la valuta del futuro”, ha dichiarato in un’intervista alla CNBC.

Anche la Svizzera, patria del fisco easy per antonomasia, vede bene il Bitcoin. A punto che a Chiasso, infatti, si potranno pagare le tasse direttamente con questa moneta digitale. Il comune di Chiasso sarà il primo svizzero a consentire, a partire dal 2018, il pagamento delle imposte fino a un limite di 250 franchi, superando i 200 impostati da Zugo, prima città al mondo ad unire Bitcoin e imposte locali, sempre in Svizzera ma nel cantone tedesco. Chiasso è come noto nel cantone italiano. Ma di italiano in effetti ha davvero poco. A cominciare dal Fisco e dall’inclinazione alla tecnologia.

E l’Europa? Ovviamente si mantiene cauta e frenata sull’argomento. Mario Draghi è già stato chiaro: “Nessuno stato membro può introdurre una propria valuta. La valuta dell’Eurozona è l’euro”. Il SuperMario sopravvissuto ai 3 (gli altri 2 erano Mario Monti e Mario Balotelli, i quali però sappiamo che fine hanno fatto) ha subito liquidato con queste parole l’intenzione dell’Estonia di introdurre una moneta virtuale chiamata ‘estcoin’ sulla scorta del bitcoin. Ma a parte ciò, lo studio e l’attenzione per le criptovalute sono vivi anche a Bruxelles, che ha inserito finanziamenti per 5 milioni di euro per startup, previsti dal programma Horizon2020, anche in materia di blockchain. Un passo avanti, per non restare troppo indietro.