La Cina dice stop alle ICO. Acronimo con cui si identificano gli initial coin offerings. Secondo l’Associazione Nazionale di Finanza Internazionale del paese asiatico, le ICO sarebbero colpevoli di scuotere l’ordine sociale ed economico, creare rischi finanziari soggiacenti e in taluni casi dare adito anche a frodi fiscali. Non solo, l’associazione cinese invita chi investe nelle ICO a prestare attenzione a segnalare qualsiasi sospetto di reato alle autorità competenti. Ma la Cina già da tempo ha posto l’attenzione sulle ICO attraverso vari avvertimenti provenienti dalle istituzioni statali.
In realtà, già a luglio gli Stati Uniti avevano pubblicato un parere alquanto scettico sulle ICO, ma di fatto avevano evitato qualsiasi decisione esecutiva. La SEC— per intenderci la Consob Americana— ha diramato un documento nel quale si includeva una solo nota rilevante: in un futuro non ben definito, quando sarà emesso un regolamento, le ICO che prevedono dividendi per gli investitori, dovranno essere regolate come una quotazione in borsa.
Un’ipotesi, o forse una minaccia, dunque, ma nulla più. Del resto gli Usa, dall’alto del loro incrollabile liberismo, sono storicamente restii a porre limitazioni e paletti. Sebbene siano intransigenti per quanto riguarda il Fisco. Non a caso, il più grande gangester di tutti i tempi, Al Capone, è stato incastrato solo grazie all’evasione fiscale. Solo alla luce del disastro dei subprime del 2008, non hanno potuto fare a meno di inserire qualche regola in più in Borsa. Invece la Cina è passata all’azione. Vediamo meglio in cosa consiste questa guerra cinese alle ICO e quali ripercussioni possono comportare sul già labile mondo delle criptovalute.
Sommario
La Cina dichiara guerra alle ICO
Già lunedì 4 settembre, la rivista finanziaria Caixin ha riportato che le autorità di regolamentazione cinese stanno vagliando eventuali nuove regole riguardanti le offerte di monete digitali. Le quali potrebbero essere anche bloccate, fin quando non saranno approvate nuove normative in materia. Il Paese ad oggi ha ospitato 65 ICO, raccogliendo un ammontare di capitale pari a 2,62 miliardi di yuan (corrispondenti a 397 milioni di dollari), le quali provengono da 105 mila partecipanti. Almeno stando ai dati aggiornati fino a luglio diramati da una organizzazione governativa cinese preposta al monitoraggio dell’attività finanziaria online. Non a caso, si è verificata una correzione delle quotazioni del bitcoin, che lo scorso fine settimana aveva toccato su qualche piattaforma anche quota 5 mila dollari, mentre lunedì pomeriggio erano già scesi a quota 4.900.
L’Associazione Nazionale di Finanza Internazionale, oltre alle dichiarazioni riportate nell’incipit all’articolo, ha tuonato con altre parole minacciose nei confronti delle ICO, affermando che tali nuove criptovalute generano sistemi di vendita ingannevoli, sia all’interno della stessa Cina che nei confronti dei Paesi esteri, e possono rivelarsi delle frodi e contribuire a raccogliere fondi illegali. Pertanto, esorta gli stessi investitori a rimanere luci, devono essere più attenti a non farsi millantare da facili guadagni. Così da evitare eventuali truffe.
La Cina dimostra di fare sul serio e ha intimato tutte le startup del Paese coinvolte a restituire i proventi raccolti mediante esse. Ancora, un comitato creato appositamente per questo scopo, ha stilato una lista “nera” di 60 piattaforme finanziare legate alle ICO, che ora saranno poste sotto esame da parte delle autorità. E visto che stiamo parlando sempre di un regime dittatoriale, per quanto aperto al capitalismo selvaggio ormai da quarant’anni, queste società rischiano grosso ed essere viste come nemiche e pericolose per l’economia cinese. La messa al bando delle ICO hanno effetto immediato. Di fatto, nell’annuncio si legge anche che le organizzazioni e gli individui che hanno raccolto un finanziamento in token dovrebbero pure accordarsi per la restituzione del denaro. Vieppiù, con le nuove disposizioni delle autorità cinesi, i cambi di criptovalute e le piattaforme di trading in token nel Paese cinese non possono più consentire la partecipazione alle ICO ai propri clienti. Le banche e gli altri fornitori di servizi finanziari non sono autorizzati a facilitare la partecipazione alle ICO o ad avere collegamenti di altra natura con le società che raccolgono fondi tramite la vendita di criptovaluta.
Il peso delle criptovalute in Cina è tangibile anche per il fatto che buona parte degli studenti sono manager di banche cinesi che volano fino a Londra per formarsi su Fintech e Blockchain (il sistema alla base del Bitcoin). E così le banche europee rischiano di trovarsi indietro nella competizione globale già dal prossimo anno.
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Il vero motivo per cui Cina ha bloccato ICO
Per capire perché la Cina ha bloccato le ICO bisogna partire da un dato: i più grandi minatori di Bitcoin al Mondo si trova proprio in questo Paese. Detto ciò, possiamo riassumere in 2 punti i motivi che hanno spinto il Paese asiatico a fare questa scelta drastica:
- Bloccando uno strumento come le ICO mette fine ad uno strumento che può dare adito, come dice lo stesso documento dell’Associazione Nazionale di Finanza Internazionale, a “frodi finanziarie e schemi piramidali”. Le ICO possono essere paragonate alle quotazioni in borsa degli e-commerce nei primi anni 2000. In quel periodo, nella quale i siti di ecommerce raggiunsero quotazioni stratosferiche in Borsa, si verificarono anche molto fallimenti, truffe, ma anche la nascita di un colosso dell’e-commerce attuale quale Amazon. La Cina non vuole rischiare il caos nel mercato interno, proprio come avvenne quella volta, e quindi vietando le ICO pone un ostacolo grosso quanto un macigno dinanzi a paesi più piccoli e innovativi. E che potrebbero poi diventare un problema una volta cresciuti.
- Impedendo l’emissione di token basati sulla tecnologia Ethereum, privilegia di conseguenza il Bitcoin. La criptovaluta concorrente, di cui è, come già detto, il paese leader.
Le ISO, una zona grigia che spaventa i governi
Le criptovalute sono monete virtuali che si muovono nel web, mediante un complesso sistema informatico criptato basato sulla tecnologia peer-to-peer (la stessa, per intenderci, adottata anche dalle app di messaggistica per far sì che le chat restino nell’anonimato), che dunque garantisce l’anonimato tra quanti acquistano e vendono criptovalute.
Esse, come il Bitcoin, Ethereum, e valute digitali alternative (altcoins) non prevedono banche centrali che le emettano. Quindi restano incontrollate dai governi ed istituzioni centrali. Le quali, hanno come unica arma quelle di ritenerle fuori legge. Ma ciò taglierebbe un Paese fuori da un asset del futuro, in crescita e protagonista di un grosso movimento di valute. Peraltro, vengono sfruttate pure da che puntano a raccogliere capitali, sotto forma di offerte monete iniziali o di offerte iniziali di token (ITO).
Ma il problema che sfuggono dal controllo delle istituzioni resta giacché si muovono in una zona grigia. E possono essere utilizzate anche per attività pericolose ed illegali. Giusto per fare un esempio, nel 2016 le autorità americane hanno sequestrato ben sette milioni di dollari in transazioni illegali espletate sulla piattaforma Mt.Gox. Dove è possibile scambiare bitcoin per dollari. I soldi venivano poi utilizzati per la compravendita di armi e per il riciclaggio di denaro sporco. La sfida dei governanti è dunque quella di evitare ciò ma senza soffocare l’innovazione. D’altronde, le ICO consentono agli imprenditori di valuta digitale di raccogliere in maniera veloce milioni di dollari creando e vendendo «token» digitali. Il tutto, senza che le autorità possano metterci le mani. Possono essere altresì paragonate alle IPO – acronimo di Initial Public Offering – strumenti finanziari mediante le quali un’azienda vende le proprie azioni per raccogliere capitali. Tuttavia, le ICO si acquistano appunto tramite criptovalute e quindi in maniera non controllabile da un organo nazionale o sovranazionale centrale.
Ad oggi, le offerte di nuove criptovalute hanno raccolto circa 1,6 miliardi di dollari in tutto il mondo.
Cosa sono e come funzionano le ICO
Le ICO – Initial Coin Offering – sono strumenti mediante i quali le aziende raccolgono fondi tramite l’emissione di una propria criptovaluta (tecnicamente chiamata “Token”). Dunque, uno strumento di crowdfunding che punta a uno scambio di criptovalute, nel quale i Bitcoin hanno il valore principale: 1 bitcoin è scambiato con mille dollari.
I Token solitamente si basano sulla tecnologia Ethereum, a tutti gli effetti la più importante criptovaluta dopo il Bitcoin. La differenza tra queste due è che se quest’ultimo ha una quantità massima limitata di emissioni già programmate, come ad esempio l’oro, la prima al contrario no. Per fare un esempio con una valuta tangibile, il Bitcoin è come la Sterlina d’oro, proprio perché non è possibile produrre più sterline dell’oro disponibile. Ethereum è invece come la Sterlina cartacea, è possibile produrne illimitatamente.
Tecnicamente, le ICO sono emissioni di criptovaluta basate su Ethereum. Mentre i Bitcoin, proprio come l’oro, non possono essere emessi, ma solo minati dal web. Non a caso si parla di mining. E in effetti quella che ha travolto i bitcoin sembra una corsa all’oro 2.0. Il numero più alto di minatori si trova, guarda caso, proprio in Cina.
Il fatto che superpotenze come Cina e Usa le guardino con diffidenza, non è un caso. Il volume dei fondi raccolti durante le ICO aumenta rapidamente di mese in mese. Nel mese di luglio aveva raggiunto i 600 milioni di dollari, a giugno i 500. Per un crescendo partito da aprile, dopo una situazione stazionaria da luglio 2016, dove a malapena hanno toccato i 50 milioni di dollari. Il record attuale lo vanta una piattaforma di storage decentralizzato, Filecoin, che ha raccolto circa 250 milioni di dollari. Segue più indietro Tezos, “ferma” a 232.
L’ICO è a tutti gli effetti diventato lo strumento privilegiato per lanciare una nuova criptovaluta. Funziona così: si avvia un’offerta iniziale della nuova criptovaluta in cambio di criptovalute pregiate quali sono considerate appunto bitcoin o ethereum. Ma il fatto che manchino regole le rende anche un oggetto pregiato per fare truffe ed evadere il fisco. E quindi sono anche lo strumento finanziario meno sicuro per fare investimenti. Eppure, la crescita esponenziale del settore le ha rese anche una grossa opportunità di guadagno. Basti considerare che il suo settore ha superato il miliardo di dollari nel primo semestre 2017, rimanendo molto lontano da altre forme con natura simile, quali Venture Capital e Crowdfunding. Gli esperti però ritengono che potrebbero però anche trattarsi di una pericolosa bolla finanziaria.
Una certa importanza l’ha acquisita Science Inc., un incubatore di Santa Monica specializzato nel lancio di business digitali. La criptovaluta offerta è il Science Blockchain Token. Esso punta a raccogliere in dollari, ethereum e bitcoin, valute per un valore complessivo di 100 milioni di dollari. Gli investitori diventano così dei soci a tutti gli effetti del fondo, eludendo la noiosa burocrazia delle strade tradizionali. L’incubatore a seguito delle exit inizierà a ricomprare i token dagli investitori. Se è vero che la possibile regolamentazione paventata negli States dalla Sec non dovrebbe colpire più di tanto Science Inc., potrebbe però sottrarre appeal a questo strumento d’investimento.
Conseguenze dello stop delle ICO da parte della Cina
La scelta drastica della Cina non sarà certo esente da conseguenze, magari anche pesanti. Specie sul mondo visto con sospetto delle criptovalute. La primissima conseguenza è stata che i prezzi delle due monete virtuali più utilizzate, Ethereum e Bitcoin, sono crollati rispettivamente dell’11% (a quota 311,5 dollari) e del 5,7% (una perdita di oltre 210 dollari a quota 4.421). Poi bisogna mettere in conto che esistono numerose ICO in programma per questo mese corrente di settembre e, particolare ancora più importante, molte delle quali lanciate proprio da aziende provenienti dal paese del dragone rosso. Inoltre, la scelta della Cina potrebbe essere emulata da altri Stati.
Riguardo le criptovalute bisogna considerare il fatto che la Cina gioca un ruolo fondamentale. Solo per farsi un’idea, basta considerare che nel 2013, in Cina, il bitcoin ha raggiunto un quinto del totale delle operazioni di cambio della valuta cinese: lo Yuan. Quindi è facile intuire quanto questa notizia abbia il potenziale di influenzare pesantemente tutto il mercato delle criptovalute e di far arrestare bruscamente la «ICO-Mania» in atto. Un altro dato fa infatti pensare a ciò: nel mondo delle valute virtuali, circa il 60% degli investitori è cinese. Se è vero che le autorità preposte al controllo non hanno il potere di ostacolare gli investitori al fine di inviare denaro per partecipare alle ICO all’estero, non avere la possibilità di farlo in Cina in maniera legale e trasparente, potrebbe essere anche un duro colpo alle start up cinesi, le quali raccolgono il capitale a loro necessario tramite questo sistema. Le prime piattaforme importanti cinesi per le Ico – ICOage e ICO.info – hanno sospeso a titolo volontario i loro servizi e il lancio di nuovi progetti.
Quale futuro quindi per le ICO e per le criptovalute in generale? Se si somma, alla decisione cinese, anche il possibile stop americano entro il prossimo anno? Innanzitutto, non bisogna credere che le ICO spariranno. Semplicemente, ci saranno nuovi Stati pronti a riconoscerli e diventare leader.
Soprattutto quelli con ambizione di essere le potenze economiche del futuro, attirando investitori stranieri. Tra questi sono in lizza Hong Kong, Singapore e la Criptovalley Svizzera di Zug. Pronte ad accogliere startup in cerca di facili finanziamenti. Gli imprenditori dovranno solo affidarsi ad ottimi consulenti, con una visione a 360 gradi sull’evoluzione finanziaria internazionale. Capire dove rivolgersi e su quali nuove sponde approdare, al fine di trovare nuovi mercati.
Dalla Cina un duro colpo al Bitcoin?
Paradossalmente, se la Cina vuole strategicamente rinforzare il sistema dei bitcoin, essendo la principale mining, è anche vero che questo potrebbe rappresentare un duro colpo al già fragile mondo del Bitcoin, il cui valore è ancora altamente volatile e che ora potrebbe vedere frenata la propria popolarità. Del resto, nell’economia reale aveva già scarso successo. Salvo qualche esempio sporadico.
Ad esempio Amazon o eBay li accettano come valuta di pagamento, sebbene tramite alcuni intermediari. L’Università di Nicosia, la più importante del Cipro, dal 2013 accetta il bitcoin per il pagamento delle tasse universitarie. Dal 2016 a Zurigo, una delle città più importanti della Svizzera, il bitcoin viene riconosciuto come moneta per pagare servizi pubblici essenziali, tra cui sanità e trasporti. Inoltre, sono sempre più i commercianti che tramite siti di cambio, consentono ai clienti di cambiare bitcoin nelle valute più importanti: euro, dollari, rubli, yuan, yen.
Si stanno diffondendo sempre più sportelli ATM per prelevare denaro convertito dal bitcoin. Il primo è apparso nel 2013 in Canada, a Vancouver. In Europa il primo è comparso in Finlandia, a Helsinki, e nella succitata Zurigo. L’Italia è stata la terza in Europa, a Udine, nel febbraio 2014. Sebbene occorra ricordare che questi ATM sono separati e non integrati con Visa, Mastercard, o altri circuiti di pagamento più diffusi.
Ma il fatto che gli stati centrali stiano cominciando, o almeno provano, a mettere le mani sulle criptovalute, potrebbe renderle ancor meno attraenti.