Costo barile petrolio: da cosa deriva e scenari futuri

Da diversi mesi, ormai quasi un anno, andando a fare rifornimento di benzina, ci siamo accorti che il suo prezzo è sensibilmente calato. Siamo ben lontani dai prezzi alle stelle cui siamo stati abituati negli ultimi anni. Il crollo del costo barile petrolio è stimato intorno al 55%, ossia da 71 a 32 dollari a barile. Ciò ha ovviamente avvantaggiato fortemente i Paesi costretti ad importarlo, soprattutto quelli industrializzati; calo che va ad aggiungersi a quello del prezzo di altri prodotti energetici fossili, quali carbone e gas.

Costo barile petrolio: benefici per l’Italia

Ovviamente tra i Paesi che stanno beneficiando di questo crollo dei prezzi c’è anche il nostro, dato che la fattura energetica incide sul nostro Pil del 3,5-4 %. Considerando poi la rivalutazione del dollaro sull’euro, ormai quasi sulla parità, questa caduta dei prezzi delle materie prime energetiche potrebbe farci recuperare un punto percentuale di crescita del Pil. Stesso dicasi per gli altri Paesi industrializzati europei, sebbene molti di essi abbiano energie alternative proprie (come le centrali nucleari, le rinnovabili o gli stessi rifornimenti fossili). Ma da cosa deriva questo crollo del costo barile petrolio? E quali sono gli scenari futuri?

Costo barile petrolio: da cosa deriva

costo barile petrolio
Una piattaforma petrolifera

I due tipi di petrolio più diffusi sono il WTI ed il Brent. Il primo trova la sua estrazione negli Stati Uniti, in special modo nello Stato del Texas (da cui il nome, West Texas Intermediate. Il Paese statunitense che ne è notoriamente più ricco); il secondo in particolar modo dal Mare del Nord. Poi ci sono quelli prodotti dai Paesi Opec (col quale si indica il cartello del prezzo petrolifero deciso nel 1974 dai Paesi esportatori di petrolio, quali: Algeria, Libia, Nigeria, Angola in Africa; Ecuador in America centrale; Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti in Medioriente; Indonesia in Asia). Il barile di greggio si aggira intorno ai trenta dollari dopo aver raggiunto il picco di 115 dollari nel giugno del 2014. Secondo gli esperti, il prezzo ideale sarebbe intorno ai 70 dollari a barile, punto di equilibrio tra le esigenze di chi importa ed esporta. I primi, non avrebbero eccessivi costi sulla propria economia; i secondi coprirebbero quanto meno i costi sostenuti. Ovviamente, però, i Paesi produttori tendono sempre a specularci il più possibile, fissando il costo barile petrolio superiore ai 100 dollari, per poi eventualmente riequilibrarlo successivamente. Tuttavia, molti di essi, avendo economie poco diversificate e fortemente dipendenti dagli idrocarburi (come Russia, Arabia Saudita, Venezuela, Algeria), lo scorso anno hanno presentato bilanci passivi e dunque sono stati costretti ad approvare tagli drastici di bilancio per quest’anno.

Costo barile petrolio: la situazione attuale

prezzo benzina
Un operaio sui barili

Gli Stati Uniti da alcuni anni stanno puntando a rendersi del tutto autonomi nel loro fabbisogno energetico, soprattutto grazie alla produzione di gas da scisti (in americano chiamato shale gas), mediante tecnologie innovative estrattive e di lavorazione (peraltro fortemente avversate dalle associazioni ambientaliste americane). Inoltre, il Governo Obama non ha mai nascosto le proprie politiche in favore del petrolio, con nuovi sondaggi anche in Alaska. Scatenando la delusione di quanti speravano che con la presente amministrazione democratica ci fosse stata una svolta verso le rinnovabili. Non solo, Gli Usa starebbero pure puntando a diventare esportatori.

Quanto ai Paesi mediorientali, devono far fronte a un’instabilità sempre più preoccupante del proprio territorio. L’Arabia Saudita ha richiesto e ottenuto l’abbassamento dei prezzi per far fronte all’espandarsi del succitato shale gas americano e per fronteggiare la guerra (per ora diplomatica) con il vicino Iran. Il quale, grazie all’export petrolifero, ha sostituito proprio i sauditi come potenza petrolifera di riferimento dell’intera area. L’Arabia Saudita si mantiene comunque ancora economicamente molto solida, sebbene, rispetto agli iraniani, basi quasi esclusivamente la propria economia proprio sull’oro nero (perdendo circa il 70% delle sue entrate petrolifere, ossia, al 2015, 98 miliardi di dollari circa). Per il 2016 si prevede uno sviluppo del Pil del 3%, con un deficit pubblico che aumenterà di oltre sei volte, passando dal 3,4 a quasi 21 percento (stabilendo una valutazione del prezzo del petrolio a barile di ventisei dollari). L’Iran, invece, valuta il prezzo del barile per il 2016 intorno ai trentasei dollari, esportando soprattutto in Asia. Ovvero in Cina, India e Corea del Sud.

Poi ci sono le crisi interne di altri Paesi esportatori. Algeria e Nigeria stanno facendo i conti con il terrorismo interno di Boko Haram; mentre il Venezuela, dopo la morte di Hugo Chavez, sta avendo grosse difficoltà e destabilizzazioni interne. Il prezzo del petrolio è controllato dallo Stato, ma dopo la morte del leader socialista, sembra sempre più qualcosa di meno certo. Poi c’è la Russia, messa in ginocchio dall’embargo occidentale voluto da Ue e Usa dopo il contrasto con la vicina Ucraina. Oltre ai dazi che in realtà stanno pesantemente colpendo anche le nostre imprese dell’Est. Per il paese ex sovietico si prevede una diminuzione del Pil di circa il 5 % nel corso del 2016, mentre il rublo ha perso più della metà sul dollaro americano.

Il Fondo monetario internazionale ha così calcolato che il Pil dei paesi esportatori di oro nero sia calato mediamente del 2,25%.

Costo barile petrolio: scenari futuri

quanto costerà benzina
Il prezzo del petrolio resta un’incognita per il futuro

Quali sono gli scenari futuri per il costo del petrolio a barile? Siamo nel corso di una tempesta che provocherà grandi instabilità economiche e politiche. L’instabilità interna di paesi esportatori come Iraq, Libia e Siria, nonché il terrorismo che trova nel petrolio la propria fonte di sostentamento, non promettono nulla di buono. L’ufficio studi dell’Opec, ipotizza che il prezzo si mantenga ancora a lungo su una media di 30 dollari, raggiungendo punte di 70 dollari nel 2020 e 96 dollari nel 2040. Non fornendo però alcuna spiegazione su quale base prevedano numeri così precisi. L’Italia, paese fortemente importatore, non può che trarre vantaggi su tutto ciò. Avendo grandi occasioni di sviluppo industriale, dato che per le imprese hanno ed avranno dei costi molti più bassi sugli approvvigionamenti.