Altre cattive notizie per Bitcoin in arrivo dalla Corea del sud. E’ passato un mese, ma già sembra lontana anni luce la quotazione del Bitcoin a quasi 20mila dollari di metà dicembre. Benvenuti nelle montagne russe delle criptovalute. La prima criptovaluta in assoluto lanciata nel 2009 dal misterioso Satoshi Nakamoto ha sfondato record su record nel corso del 2017 facendo parlare sempre più di sé. Complice anche l’importante legittimazione da parte della Borsa di Chicago, la più importante in termini di derivati, che ha lanciato ai primi di dicembre il Futures sul Bitcoin. Nemmeno le strette di Cina e Russia di ottobre hanno scalfito il suo valore, né tanto meno il Fork di fine luglio che ha dato vita al Bitcoin Cash.
Il prezzo del Bitcoin sembrava destinato a salire e salire ancora, spazzando via le voci di chi parlava di una bolla pronta ad esplodere (come fatto anche dal Guru del trading Warren Buffet) e dando fiato a quanti ritenevano che il Bitcoin avrebbe raggiunto 500mila dollari entro metà giugno. Ma qualcosa si è incappato. E parla sudcoreano. Infatti, la Corea del sud ha annunciato già a fine 2017 una severa stretta sul Bitcoin, per ovviare alla febbre da criptovaluta che lì ha colpito giovani e meno giovani, nonché casalinghe. Un po’ come la febbre da “Gratta e vinci” che travolse gli italiani negli anni ‘90 e ancora oggi è diffusa. Con il proliferare di Broker, Exchange ed app pronte a cogliere la loro criptosete e non sempre in maniera legale e pulita.
In particolare, lo strumento più utilizzato è quello delle opzioni, che per la loro semplicità sono preferite da molti trader inesperti. Ma che poi ci perdono molti soldi credendo di giocare alle slot. Il Governo della Corea del sud ha così annunciato che a breve ci sarà una stretta sulle piattaforme online che trattano criptovalute. Non solo. E’ notizia di queste ore che le autorità di Seul hanno annunciato che le banche locali saranno costrette a vietare operazioni provenienti da conti anonimi per il trading in criptovalute a partire dalla settimana prossima. Con lo scopo di rendere tracciabili e trasparenti le transazioni e mettere un freno al riciclaggio e alle attività criminali, oltre che alla speculazione e all’evasione fiscale. Il che rischia di far tracollare ancora di più il Bitcoin, il cui prezzo da metà dicembre si è dimezzato, passando da 20mila dollari di metà dicembre agli 11mila di ora. Scendendo anche a quota 10mila.
Ma vediamo di seguito in cosa consiste la stretta della Corea del sud, che va ad abbinarsi a quelle di Cina e Russia. Anche se quest’ultima sembra voler introdurre una regolamentazione. Ma andiamo per gradi, partendo dall’acerrima nemica del paffuto Kim Jong-Un.
Sommario
Cosa prevede stretta su Bitcoin da parte della Corea del sud
Il vice presidente della Financial Services Commission coreana, Kim Yong-beom ha spiegato in un briefing alla stampa che le misure, in vigore dal 30 gennaio, prevedono l’obbligo per le banche di identificare i possessori dei conti in criptovalute, insieme al divieto di trading per i residenti all’estero che non hanno conti correnti bancari in Corea e per i minori di 19 anni. Inoltre, dalla prossima settimana saranno banditi pure tutti i conti esistenti utilizzati per le criptovalute.
Alle banche viene imposto altresì un monitoraggio di tutti i conti che movimentano più di 10 milioni di won (che corrispondono a poco più di 9.300 dollari) al giorno o 20 milioni di won la settimana. Nonché di segnalare alle autorità finanziarie preposte i conti detenuti da aziende e di attività sospette.
Kim Yong-beom si auspica che gli exchange che potrebbero essere utilizzati per attività illecite come il riciclaggio di denaro siano espulsi dal mercato. Ma il governo sudcoreano potrebbe andare anche oltre: un funzionario governativo ha fatto trapelare alla rivista Bloomberg che l’esecutivo starebbe pensando di bandire completamente le criptovalute. Una mazzata che sarebbe molto dura per il Bitcoin, che rischierebbe di andare di molto sotto i 10mila dollari.
Anche da parte di Ue e Usa stretta sul Bitcoin
Ma non solo dall’Asia giungono strette sul Bitcoin. Bensì, anche dal vecchio continente e dagli Usa. L’Unione europea è divisa pure sulle criptovalute, non avendo ancora varato una normativa chiara e specifica su questa materia. Si sta ancora aspettando una regolamentazione da parte delle Banche centrali e delle autorità di vigilanza. Stranamente, cosa molto rara, a fare il primo passo è stata proprio l’Italia, che ha recepito le regole Ue sottoponendo gli operatori in criptovalute tra gli assogettati alle disposizioni antiriciclaggio.
L’Unione europea ha annunciato di stare studiando la regolamentazione del settore fintech, incluse appunto le criptovalute. Un appuntamento importante in cui si discuterà anche di questo tema sarà il prossimo G20 di marzo.
Oltreoceano le cose non vanno meglio. Dopo il succitato avvio dei contratti futures a Chicago, sia al Cme che al Cboe, la Sec (la nostra Consob americana) ha respinto la richiesta di quotare Etf sulle criptovalute. Essendo esse molto volatili e sottoposte a manipolazione delle quotazione e di utilizzo per fini fraudolenti. Sarebbe stata una ulteriore legittimazione, ma appunto mancata.
Bitcoin, dalla Russia un’apertura dopo la stretta
Dalla Russia con amore. O, se preferite, la quiete dopo la tempesta. Dal Paese post-sovietico è in arrivo una apertura dopo la stretta di ottobre 2017. Già a fine 2017 sul web si era diffusa la notizia che secondo un alto funzionario governativo, si sarebbe previsto che le nuove leggi sulle criptovalute sarebbero state introdotte entro il 28 dicembre. Ma non se ne è fatto più nulla. Un primo annuncio fu anche fatto a giugno 2017.
Fonti dei media russi RIA e TASS citarono le parole del parlamentare Anatoly Aksakov, Presidente del comitato dei mercati finanziari della Duma (il parlamento russo). Secondo Aksakov, le nuove regole avrebbero formalizzato la creazione e lo scambio di criptovalute come il Bitcoin.
La Russia ha deciso di bandire il Bitcoin e le criptovalute nell’ottobre 2017 in quanto potrebbe causare fenomeni distorti come il riciclaggio di denaro sporco e casi legati a problemi di identificazione. Il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha però anche aggiunto che il governo russo è al contempo intenzionato a regolamentare il mercato delle criptovalute, controllandone direttamente i flussi in collaborazione con la banca centrale e coinvolgendo il Federal Tax Service per tassare coloro che le possiedono.
A fargli da eco era stato il direttore della banca centrale Sergei Shvetsov, il quale aveva affermato che le autorità russe ritengono che per cittadini ed aziende l’utilizzo delle criptovalute come veicolo d’investimento comporterebbe rischi molto elevati. Scettico nei confronti delle criptovalute è però anche il capo dei capi russi, il Presidente formale o di fatto da ormai vent’anni Vladimir Putin. Il quale pure ha ribadito il rischio derivante dalle criptovalute di riciclaggio di denaro, evasione fiscale e finanziamento del terrorismo. Inoltre, teme che in caso di bolla e collasso del sistema, nessuno ne pagherà legalmente essendo un sistema virtuale. Pertanto, il bando alle criptovalute avrebbe come scopo solo quello di proteggere l’interesse dei cittadini, del business e dello Stato.
Comunque, se da un lato la Russia è preoccupata dalle criptovalute, dall’altro vorrebbe anche sfruttarne le alte potenzialità. Di fatti, avrebbe in cantiere due progetti. Il primo, di realizzare una sorta di cittadella dedicata al mining di criptovalute, ai confini con la Cina. Un mega-hub internazionale dove potrebbero accorrere le società che si occupano di mining di Bitcoin. In effetti, la cosa potrebbe allettare quanti vogliono buttarsi nel mining di Bitcoin ma sono dissuasi dagli alti costi di corrente elettrica che essa comporta. Mentre in Russia, particolarmente ricca di risorse energetiche, tali costi sarebbero molto inferiori.
Altro progetto avveniristico è il possibile lancio di una criptomoneta nazionale: il CriptoRublo. La Russia avrebbe così una moneta digitale controllata dallo Stato. Ma ciò farebbe venire meno i presupposti principali di una criptovaluta: l’anonimità e la decentralizzazione. Anche il Kazakistan, Paese vicino alla Russia sia geograficamente che politicamente, sembra intenzionato a lanciare una propria moneta digitale.
Ma a parte ciò, è notizia di queste ore che il ministero delle Finanze russo ha sviluppato un disegno di legge per regolamentare l’emissione e la circolazione di criptovalute, senza vietarle né legalizzarne gli scambi come mezzo di pagamento. Il piano è quello di permettere di vendere e acquistare monete digitali (usando rubli o valute straniere) attraverso società speciali, create per facilitare lo scambio di asset finanziari digitali.
In questo modo, si andrebbe a ridurre il rischio succitato di frodi e si renderebbe fattibile una tassazione sulle transazioni derivanti da criptovalute, che andrebbe appannaggio del bilancio pubblico. Ma il Ministero delle finanze russe ci tiene altresì a precisare che nessun token o moneta digitale potrà mai rimpiazzare il rublo. Nel comunicato diramato dallo stesso Ministero, si legge anche che “L’uso di criptomoneta come mezzo di pagamento non è consigliato sul territorio della Federazione russa”. La Banca centrale russa ritiene invece che lo scambio di criptovalute in rubli o altre valute deve essere permesso solo con token emessi per attrarre finanziamenti. Ma il Ministero ritiene che bandire le criptovalute non farebbe altro che alimentare il loro uso illegale per finanziare gruppi terrorisatici, riciclare denaro sporco o per attività illecite. Un po’ quanto accadde in America con il proibizionismo, che alimentò il commercio illegale di alcolici. O si ritiene delle droghe attualmente.
Dunque, mentre la Corea del sud è pronta a chiudere, la Russia è pronta ad aprire. Il che potrebbe comportare un controbilanciamento a tale notizia negativa.
Bitcoin, anche Cina verso apertura?
Come detto, pure la Cina, sempre ad ottobre 2017, ha deciso una stretta nei confronti del Bitcoin. Partendo dalle Ico (Initial Coin Offering, uno strumento utilizzato per ottenere fondi al proprio progetto). Una scelta che fece già perdere valore al Bitcoin, che perse il 7,2%, toccando quota 4530 dollari, dai 5mila a cui era arrivato.
Stando a quanto riportò il quotidiano cinese Caixin, oltre il 90% dei progetti Ico potrebbe aver violato le leggi di raccolta di fondi o essere casi di frode. La percentuale di progetti che avevano effettivamente raccogliendo fondi per gli investimenti si attesta a meno dell’1%. Di qui la stretta. Ma anche negli Usa, la succitata SEC (Security Exchange Commission), sempre nel mese di ottobre 2017 ha manifestato perplessità nei confronti delle ICO.
Dopo le Ico, toccò direttamente alle stesse criptovalute. Il Governo cinese, dopo aver messo un freno alla quotazione sul mercato di nuove monete elettroniche, avrebbero imposto anche il blocco degli scambi sulle borse. E ciò ha avuto come prima conseguenza la chiusura di alcune importanti piattaforme cinesi per il trading di Bitcoin, come BTC China.
Tuttavia, come la Russia, anche la Cina sembra intenzionata ad una apertura verso il Bitcoin. Del resto, questa criptovaluta offre grandi potenzialità che possono essere certo regolamentate, ma non vietate del tutto.
Bitcoin nell’economia reale
Ma aperture e chiusure a parte, volenti o nolenti il Bitcoin si sta facendo sempre più strada nell’economia reale. C’è un Paese europeo che ha aperto ancora di più al Bitcoin: la Svizzera. A Chiasso infatti, Cantone italiano svizzero, a partire da quest’anno si potranno pagare le tasse direttamente in Bitcoin. Il comune di Chiasso sarà il primo svizzero a consentire il pagamento delle imposte fino a un limite di 250 franchi, superando i 200 impostati precedentemente da Zurigo. Alla quale però va un primato, essendo stata la prima città al mondo a prevedere il pagamento di imposte locali in Bitcoin. Ancora prima, l’Università di Nicosia, Cipro, nel 2014 è stata la prima ad accettare il Bitcoin per i pagamenti delle tasse universitarie.
A Roma il gruppo immobiliare Barletta sta accettando pagamenti in Bitcoin. Mentre in Medioriente sono stati stipulati contratti per la realizzazione di edifici avveniristici pagati in petrolbitcoin.