Bitcoin sotto i 6mila dollari: i motivi e perché situazione potrebbe peggiorare

Continua il crollo del Bitcoin, la regina delle criptovalute che lo scorso anno ha macinato record su record, giungendo a sfiorare quota 20mila dollari. E trascinando positivamente tutte le altre criptovalute. Poi dalla seconda metà di dicembre 2017 è partito un trend rialzista che neppure l’anno nuovo ha arrestato. Arrivando a dimezzare ed oltre il suo valore. Il 6 febbraio Il Bitcoin ha lasciato sul campo un altro 13%, scivolando sotto i 6.000 dollari. Al bitstamp basato in Lussemburgo il bitcoin è sceso fino a 5.920 dollari, i minimi da metà novembre prima di riprendersi leggermente.

Ma quali sono i motivi di questo crollo e quali sono le preoccupazioni maggiori? Vediamolo di seguito.

Crollo Bitcoin, le previsioni catastrofiste di Goldman Sachs

Secondo la banca d’affari americana Goldman Sachs, il trend al ribasso del Bitcoin dovrebbe pure peggiorare. Goldman Sachs non esclude che la discesa dei prezzi delle criptovalute possa in alcuni casi portare fino a quota zero il valore della valuta digitale. Con la sparizione di molte criptovalute. Per una darwiniana criptoselezione della specie. Inoltre, continua in questa previsione catastrofica, gli investitori dovrebbero già prepararsi a vedere il valore delle criptovalute totalmente svuotarsi. Insomma, resteranno in giro solo le migliori, le più solide. Quelle per cui vale la pena investire.

Crollo Bitcoin, in arrivo altra mazzata dalla Sec?

Come non bastasse il ban russo e cinese e la stretta sudcoreana di cui parleremo a breve, un’altra dura mazzata per la criptovaluta potrebbe arrivare dalla Sec americana. Per intenderci, la CONSOB statunitense. La Sec, ovvero l’organo di vigilanza delle Borsa Usa e della Commodity Futures Trading Commission, è intenzionata a chiedere al Congresso americano di prendere in considerazione l’ipotesi di un controllo a livello federale delle piattaforme per gli scambi di criptovalute. Tale mossa è dovuta alla preoccupazione del Ministero del tesoro americano scaturito dal fatto che le criptovalute siano usate da molti come un vero e proprio investimento. E non più come una moneta digitale da usare per gli acquisti. A dichiararlo Steve Mnuchin, segretario del tesoro americano, durante un’audizione in Congresso, che ha inoltre espresso la necessità di assicurare che le valute digitali come il Bitcoin non siano usate per spostare denaro per i ”cattivi”. Traducibile ciò in quanti operano per mettere in atto frodi e riciclaggio.

A fare da eco a questo allarme, anche quello lanciato dal direttore generale della Banca dei Regolamenti Internazionali, Agustin Carstens. Il quale, in occasione di un convegno a Francoforte, ha dichiarato: “il Bitcoin è la combinazione di una bolla, uno schema Ponzi ed un disastro ambientale”. Peggio di così?! Il pericolo che sia la prima già lo conoscevamo, che sia il secondo ci sembra un po’ difficile, ma che sia anche un disastro ambientale in pochi lo avevano detto fin’ora. Infatti, l'”estrazione” dei tokens digitali vuole l’uso di potenti calcolatori elettronici e il mining di Bitcoin è diventato anche più difficoltoso. Quindi premette uno spreco di energia anche maggiore.

“Nuove tecnologia non significa migliore tecnologia e migliore economia,” ha Cartens, da considerarsi il numero uno di quella che viene considerata una sorta di “banca delle banche centrali”. Avvertendo che c’è bisogno di uno sforzo congiunto di banche centrali, Ministri delle Finanze, agenzie fiscali e autorità di sorveglianza dei mercati per tenere sotto controllo la “frontiera digitale.” insomma, ha squillato la tromba, sommandosi ad altri allarmi di banche centrali e governi. Quelli che di fatto sono lasciati fuori dall’uso delle criptovalute.

Bitcoin, ma c’è chi resta ottimista

Malgrado le brutte notizie che circolano intorno al Bitcoin, c’è chi resta ottimista e crede ancora in una sua risalita e boom. Certo, siamo lontani da alcune previsioni ottimiste di fine anno, quando l’ascesa del Bitcoin non conosceva uno stop. Vedendolo a quota 500mila dollari entro la fine della prima metà 2018. Ci sono infatti esperti del settore che ‘vedono’ il Bitcoin a quota 50mila contro il dollaro entro la fine del 2018, così come la capitalizzazione complessiva delle monete digitali, che attualmente si aggira sui 388 miliardi di dollari arrivare ad 1 trilione di dollari americani.

Ma come si arriverebbe a questi dati, alla luce della crisi del Bitcoin attuale? Secondo Thomas Glucksmann di Gatecoin, intervistato dalla CNBC: “Non c’è motivo per cui non potremmo vedere il Bitcoin toccare quota $ 50.000 entro dicembre”. Dicendosi sicuro che il Bitcoin potrà avvantaggiarsi dei progressi tecnologici che, legati all’adozione della cosiddetta rete Lightning, permetteranno velocità di transazione decisamente più elevate rispetto a quelle attuali che, invece, sono diventate molto lente.

Non a caso, il Bitcoin è stato abbandonato come vedremo dopo già da alcune importanti piattaforme proprio per la lentezza delle transazioni da un lato, e le commissioni alte dall’altro.

Crollo Bitcoin, tra effetto gregge e siluro della Corea del sud

Se si vuole azzardare una analisi, si può dire che il crollo del Bitcoin è da imputare a due fattori: l’effetto gregge e le brutte notizie provenienti da uno dei mercati principali: la Corea del sud. Quanto al primo, sta funzionando al contrario rispetto al 2017, quando in tanti si sono catapultati sul Bitcoin aiutando il prezzo ad aumentare. Quell’effetto che non piace a Warren Buffet, da sempre tenutosi lontano dalle criptovalute. Ritenendole solo fuffa e una bolla speculativa. Il Guru del trading ritiene infatti che il Bitcoin non abbia un valore intrinseco ma che esso sia decretato appunto solo dalla speculazione dei trader.

Il secondo fattore viene dalla Corea del sud, tra i Paesi che usano di più il Bitcoin: il vice presidente della Financial Services Commission coreana, Kim Yong-beom, ha spiegato in un briefing alla stampa che le misure, in vigore dal 30 gennaio, prevedono l’obbligo per le banche di identificare i possessori dei conti in criptovalute, insieme al divieto di trading per i residenti all’estero che non hanno conti correnti bancari in Corea e per i minori di 19 anni. Inoltre, da inizio febbraio è scattato il ban su tutti i conti esistenti utilizzati per le criptovalute.

Alle banche viene imposto altresì un monitoraggio di tutti i conti che movimentano più di 10 milioni di won (che corrispondono a poco più di 9.300 dollari) al giorno o 20 milioni di won la settimana. Nonché di segnalare alle autorità finanziarie preposte i conti detenuti da aziende e di attività sospette.

Ma il governo sudcoreano potrebbe andare oltre: secondo una indiscrezione trapelata su Bloomberg, un funzionario governativo avrebbe perfino paventato l’ipotesi che il governo blocchi del tutto l’uso criptovalute. Tale severità deriva dal fatto che il trading di criptovalute è letteralmente impazzato in Corea del sud, coinvolgendo, e rovinando, giovanissimi, casalinghe e padri di famiglie. La cui voglia di gioco è stata alimentata dalla proliferazione di Exchange e accattivanti app per smartphone.

In Corea del sud a fare paura è l’effetto che l’ondata di acquisti rischia di avere sul cambio cambio del won, la valuta ufficiale della Corea del sud. Quindi, la stretta va anche in direzione di controllare il cambio della valuta nazionale, oltre che fermare un’escalation pericolosa del gioco d’azzardo.

Bitcoin non più usata da Stripe ed altre piattaforme

Il fatto che il Bitcoin venga visto ormai più come un asset di investimento che come una moneta digitale, lo si capisce anche dal fatto che sia stato dismesso da alcune importanti piattaforme per i pagamenti online. Si pensi alla popolarissima piattaforma americana Stripe, la quale la settimana scorsa ha annunciato che dal prossimo aprile non prevederà più i pagamenti tramite Bitcoin. Dato che sono diventati troppo lenti e costosi proprio per i succitati motivi. Stripe, che utilizza il Bitcoin dal 2014, attuerà il ban dal proprio aprile 2018. Ma non esclude che possa tornare ad utilizzarlo, se la criptovaluta tornerà alla sua natura originaria.

In particolare, Stripe spera che la Blockchain Bitcoin adotti il Lightning Network, tecnologia con cui molti sperano di risolvere gli attuali problemi di congestione del network. Ma ancora oggi in fase di test.

Stripe è un’azienda tecnologica irlandese nata nel 2010 e oggi opera in oltre 25 paesi e consente a privati aziende di accettare pagamenti su Internet. Stripe si concentra sulla fornitura delle infrastrutture tecniche, antifrode e bancarie necessarie per il funzionamento dei sistemi di pagamento online. Utilizzando Stripe, gli sviluppatori web possono integrare l’ elaborazione dei pagamenti nei loro siti Web senza dover registrare e mantenere un account commerciale. Nel 2016, Stripe si è classificata al quarto posto nella rivista Forbes Cloud 100, un elenco di aziende che si dedicano al cloud computing. Lo scorso anno, invece, Stripe è finita al primo posto. Per questi motivi, riteniamo che la sua decisione nei confronti del Bitcoin sia tutt’altro che trascurabile.

Ma purtroppo per il Bitcoin, Stripe è in buona compagnia. Lo scorso dicembre Steam, piattaforma di videogame online, ha rinunciato a bitcoin come mezzo di pagamento a causa della sua volatilità e delle commissioni alte. In pratica aumentate di dieci volte, essendo passate da 0,20 a 20 dollari in confronto ai primi tempi.

Ad inizio gennaio anche Microsoft aveva sospeso i pagamenti in bitcoin per l’acquisto di giochi e app online sempre per la volatilità della moneta. Tuttavia, dopo qualche giorno, ha comunicato di accettare di nuovo la valuta digitale. Microsoft accetta pagamenti in Bitcoin dal 2014. Ma questa rinuncia momentanea deve comunque mettere in allerta.

E sempre ad inizio 2018, la North American Bitcoin Conference di Miami comunicava, negli ultimi giorni di vendita dei biglietti, di chiudere i pagamenti in bitcoin a causa delle difficoltà burocratiche nel gestire gli stessi.

Cina e Russia, la cryptoquiete dopo la tempesta?

Buone notizie per il Bitcoin potrebbero comunque giungere da Cina e Russia. Le quali, come ormai noto, hanno bannato la regina delle criptovalute da ottobre 2017. Sempre per motivi di sicurezza dei propri cittadini, ma anche per evitare l’intrusione di denaro estero mascherato dietro le criptovalute. Non a caso, la Cina aveva vietato le Ico già da giugno. Tuttavia, entrambi i Paesi hanno fatto registrare una apertura verso il Bitcoin, con la promulgazione di nuove leggi. Con le quali intendono da un lato legalizzarla ma dall’altro controllarla in maniera più severa. Vedremo se ciò avverrà e darà una nuova spinta verso l’alto al Bitcoin.

Bitcoin, quali criptovalute beneficeranno dal suo crollo?

Bella domanda ma è difficile dirlo. Soprattutto perché quando crolla il Bitcoin, crollano tutte. E nessuna per ora si è posta come la sua erede. Qualche speranza l’aveva data Ripple, unica criptovaluta ad inizio 2018 a far registrare un rialzo mentre tutte crollavano. A detta degli esperti, per il suo essere utilizzata da diverse banche internazionali per il trasferimento di denaro tra valute diverse. Senza passare per il dollaro e a commissioni basse. Ma alla fine, anche Ripple ha iniziato a crollare. E mentre vi scriviamo, ha perso pure il podio.