Amazon e Coronavirus, quali conseguenze ha subito?

Amazon ai tempi del Coronavirus. Ovviamente, anche il colosso dell’e-commerce ha dovuto rivedere i propri piani aziendali. Sebbene, ovviamente, la quarantena forzata abbia inevitabilmente aumentato la domanda di prodotti a domicilio.

Rientrando così tra quelle piattaforme che col Coronavirus ci hanno inevitabilmente guadagnato. Si pensi a Netflix o Disney Plus, data la costrizione delle persone dovute alla quarantena e la voglia di distrarsi.

Oltretutto, negli Usa Amazon consegna una miriade di prodotti ancora più ampia rispetto al nostro Paese. Con consegne anche tramite droni. Tuttavia, il Coronavirus ha colpito pure il colosso di Jeff Bezos.

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Come Amazon sta affrontando emergenza Coronavirus

Il primo caso di coronavirus in un magazzino di Amazon negli Stati Uniti si è verificato il 18 marzo, nel Queens, situato nello stato di New York. Peraltro, il più colpito tra gli stati americani dalla Pandemia Covid-19.

Ad oggi, i casi totali sono stati più di cinquanta e così Amazon ha dovuto da un lato fronteggiare alla richiesta di prodotti da parte di clienti impossibilitati a muoversi. Dall’altro, dover garantire la sicurezza sanitaria dei suoi dipendenti nei magazzini.

Negli Usa, il Covid-19 viaggia in modo molto veloce e lì non hanno certo il sistema sanitario nazionale italiano o di qualsivoglia paese europeo. Almeno in termini organizzativi (visto che in Italia le criticità non mancano). Le proteste e lo scetticismo dei dipendenti è dilagante.

Nel mese di marzo, molti si lamentavano del fatto che la società non li avvertiva qualora ci fossero casi di contagio. Basti pensare che nella prima settimana di marzo, Amazon America ha offerto ai suoi dipendenti il cosiddetto “unlimited unpaid leave”.

Ovvero: se non te la senti di venire sul posto di lavoro puoi assentarti e non lo perderai. Ma, al contempo, non sarai retribuito se resti a casa. In barba al diritto ormai universale alla malattia o alla ferie retribuita. Come viene fatto per alcune aziende italiane.

Solo chi risultava realmente contagiato dal coronavirus Covid-19, aveva la malattia pagata. Ciò significa che molti sono andati ugualmente a lavorare, si sono trasmessi tra loro il virus. Magari molti non hanno avuto conseguenze, ma altri sono stati male e costretti a restare a casa.

Poi si è verificato un classico made in Usa: alcuni dipendenti di un magazzino di Staten Island hanno organizzato un piccolo sciopero, che ha portato al licenziamento dell’organizzatore: Chris Smalls.

E’ poi emerso che l’avvocato di Amazon, David Zapolsky, puntava rendere quest’ultimo un capro espiatorio. Ovviamente il danno d’immagine è stato rilevante, soprattutto per un’azienda che macina ogni anno fatturati da capogiro, col Ceo che risulta essere il più ricco del Mondo.

Certo, il portale sarà solo sfiorato da tutto ciò. Dato il prestigio e la fidelizzazione che ha raggiunto negli Usa come altrove.

Tuttavia, qualcosa si è mosso e Amazon ha iniziato a prendere provvedimenti, come far rispettare la dovuta distanza consigliata dall’Oms (1 metro minimo) e far misurare ai dipendenti la temperatura all’entrata. Ancora, promette presto l’arrivo di mascherine per tutti e pagherà buona parte dello stipendio a chi resta a casa.

Occorre comunque dire che il problema non riguarda solo Amazon. Molte altre imprese non stanno facendo molto per fronteggiare l’emergenza Coronavirus.

Del resto, il problema parte dai vertici, visto il continuo braccio di ferro tra Trump che non vuole imporre il totale lockdown e Anthony Fauci, il massimo esperto di malattie infettive americano, che invece spinge affinché ci sia il maggior numero di chiusure possibili. Con la lotta tra i due finita irrimediabilmente anche su Twitter in questi giorni.

E In Italia? Anche da noi, Amazon è stata oggetto di proteste e scioperi in vari magazzini. Più o meno, comunque, anche qui l’azienda ha iniziato a prendere iniziative per mitigare il problema. Con promesse di dotare i dipendenti di mascherine e salari leggermente aumentati.

In generale, dal 21 marzo Amazon in Italia e Francia ha deciso per la spedizione solo di beni di prima necessità. Intendendo per essi “articoli per bambini, apparecchiature per la salute e la casa, la bellezza e la cura della persona, la spesa e le forniture industriali, scientifiche e per animali domestici”.

Il che è ovviamente un danno per le piccole e medie imprese che tramite il portale, vendono prodotti di altre categorie. Ma ovviamente, occorre anche tutelare la salute dei dipendenti. Di cui spesso si dimentica.

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Come vanno azioni Amazon con Coronavirus

Il titolo Amazon ha subito un pesante crollo dal 20 febbraio. Quando quotava 2.170 dollari ed è giunto a poco più di 1.600 dollari il 12 marzo.

Poi dal 16 marzo è iniziata la ripresa, non senza qualche caduta. Col titolo che si è definitivamente ripreso dal 3 aprile quando quotava 1.900 dollari. Il titolo si sta lentamente riposizionando sul periodo pre-crisi da virus.

Ciò conferma che, dopo la batosta iniziale, il colosso di Jeff Bezos si sta riprendendo grazie agli ordini che comunque non sono venuti a mancare, seppur con tutte le difficoltà sopra descritte.

Del resto, i primi 2 mesi del 2020 sono stati straordinari per le azioni Amazon. Il quale aveva superato il muro dei 2mila dollari ad inizio febbraio. Tornando sui livelli già conosciuti la scorsa estate. Tutto lascia presagire che il rally del titolo Amazon sia ripreso.

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