In 4 città italiane alcuni progetti interessanti sul Bitcoin

Dopo aver fatto registrare un crollo, tornando a quota 8mila dollari a febbraio, ora il Bitcoin sta facendo registrare una nuova risalita. Sfondando quota 10mila dollari venerdì 16 febbraio. E già il pensiero collettivo nei suoi confronti sta cambiando: se già stavano suonando le campane a morte, da parte di quanti, anche Premi Nobel, ne vedevano immediata la fine, ora si parla già di crisi alle spalle e nuovi record entro luglio.

Ma le previsioni sulle criptovalute lasciano il tempo che trovano. Il Bitcoin lo ha già dimostrato nel corso del 2017. Quanti economisti hanno parlato di bolla mentre il suo valore continuava a salire? Perfino Warren Buffet, il Guru del trading, che dice di starsene alla larga perché non ha un valore intrinseco. Ma esso è dato dalla speculazione dei trader, come avviene per l’oro. Jp Morgan, invece, ha pubblicato un corposo report affermando che le criptovalute spariranno presto. Ma l’agenzia finanziaria americana ha sempre mostrato un atteggiamento ambiguo nei suoi confronti.

Il Bitcoin è imprevedibile, volatile e difficilmente si può capire cosa accadrà. Nel frattempo sta facendo capolino anche in Italia. Con alcuni progetti interessanti che riportiamo di seguito.

Ultime notizie sul Bitcoin

Come dicevamo, la crisi del Bitcoin sembra ormai alle spalle. Dopo aver perso valore arrivando a perdere il 70% rispetto a metà dicembre (quando toccò quasi 20mila dollari), la criptovaluta è tornata a superare i 10.000 dollari sulla borsa lussemburghese Bitstamp e ora gli analisti sono pronti a scommettere in un nuovo boom. Thomas Lee, managing partner di Fundstrat Global Advisors, prevede già una crescita sostenuta nei prossimi mesi, con un nuovo record a luglio. Questa previsione si basa su quanto fatto dalla criptovaluta dal 2010 a oggi. Come riporta Bloomberg, Lee ritiene che il bitcoin arriverà a valere 125mila dollari nel 2022, mentre l’intero mercato delle criptovalute avrà un volume d’affari di 1.200 miliardi di dollari entro la fine del 2018.

Del resto, come ricordiamo spesso, da metà dicembre ad oggi il valore del Bitcoin è stato minato da più notizie negative. Che hanno pesantemente controbilanciato la ottima notizia del lancio di Future sul Bitcoin sulle due Borse di Chicago. Si pensi alla Cina, che ha messo nel mirino siti web e app che offrono servizi simili a piattaforme di scambi di criptovalute. Così come la Corea del Sud, terzo mercato mondiale delle criptovalute, che ha annunciato una legge per proibire gli scambi sui mercati nazionali. A inizio febbraio poi si è messo il fatto che i vertici della Sec, l’organo di vigilanza delle Borsa Usa, e della Commodity Futures Trading Commission, vorrebbero chiedere al Congresso americano di imporre un controllo a livello federale delle piattaforme per gli scambi di monete digitali. La Russia, dopo una timida apertura, sembra ancora lontana dal rendere leggittime le criptovalute.

Infine, si è messo pure l’attacco hacker che ha rubato dal più importante Exchange giapponese, Coincheck, un ingente somma della criptovaluta NEM. Il che ha portato ad un crollo del Bitcoin e delle criptovalute in generale. ha mandato in crisi le quotazioni. Per quanto riguarda l’Italia, invece, anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan si accoda a quanti ritengono sia necessario regolamentare il sistema delle criptovalute, onde evitare che scoppi una bolla.

Come accennato, la società finanziaria Jp Morgan ad inizio settimana ha pubblicato un corposo report ribattezzato già la Bibbia del Bitcoin, nel quale ha riportato che ritiene “improbabile che le monete virtuali scompaiano completamente” e che “potrebbero sopravvivere in forme diverse tra soggetti che chiedono una maggiore decentralizzazione, reti peer to peer e anonimato”. Acquisendo quindi un ruolo importante nella diversificazione del portafoglio azionario. Tuttavia, la società americana ritiene altresì che il suo prezzo scenderà fino a quota 4600 dollari.

Ma, come accennavamo, JP Morgan non è proprio credibile nei confronti del Bitcoin. Lo dimostra il fatto che lo scorso anno, dopo che il Ceo Jamie Dimon aveva tuonato contro il bitcoin, bollandolo come una “truffa” e minacciando il licenziamento dei traders che avessero fatto trading sulle criptovalute, ha finito dopo una decina di giorni, di comprare Bitcoin. Non facendolo in maniera diretta, come del resto fanno anche le grandi banche di Wall Street. Bensì tramite Xbt, un Exchange traded note (Etn) quotato alla Borsa di Stoccolma.

Insomma, ci apprestiamo a vivere una nuova escalation del Bitcoin? Difficile a dirsi. Chi vivrà guadagnerà. O perderà.

Rovereto, la capitale italiana del Bitcoin

Correva l’anno 2015, il 28 gennaio, quando Gianpaolo Rossi inizia la sua attività. La prima birra costava un euro e gli fruttò 4.95 millibitcoin. Rossi viene da un paesino sopra Trento e aveva rilevato un locale. Poi un giorno sente 2 persone parlare di criptovalute, inserendosi nella conversazione. Gianpaolo Rossi ha messo su un locale: il Mani al Cielo wine bar, situato in piazza Malfatti, nel centro di Rovereto. Uno dei due clienti che parlavano di criptovalute è uno sviluppatore di Inbitcoin, la società fondata da Marco Amadori, 41 anni, che ha svolto studi universitari americani. Che ha dato l’input per far sì che Rovereto e dintorni si trasformi nella Bitcoin valley d’Italia. E magari pure europea.

Con i suoi 73 punti pagamento contro i 35 di Roma e i 39 di Milano, quarantacinque dei quali esercizi commerciali; 7 delle 12 macchinette italiane che consentono la conversione degli euro in criptovaluta, può essere senza dubbio considerata la capitale italiana della moneta virtuale. In questi giorni, peraltro, sarà inaugurato un centro di design e comunicazione che diventerà la prima azienda italiana a fatturare per intero in Bitcoin. Il tutto senza alcuna intermediazione bancaria. Amadori, lo scorso Natale ha pure aperto un «Comproeuro», il primo spazio fisico dove è possibile scambiare la valuta corrente con i Bitcoin. Sono molto simili al Comproro, dove si portano antichi monili e vecchi oggetti preziosi per ricevere in cambio un valore più moderno. In pratica il meccanismo è uguale, ma solo che si tratta di Bitcoin.

La sede è in via Rialto è proprio vicina al locale Mani al cielo. Il centro di Rovereto è diventato insomma il miglio d’oro del Bitcoin, anche grazie ai «Bitcoin Angels» o se preferite, ai criptoapostoli, di Amadori. E così, mentre il resto del mondo si domanda se il Bitcoin sia un affare, una bolla, una truffa, se durerà o affonderà, ecc., qui è già una realtà. Potendo fare la spesa, bersi una birra, mangiare una pizza, andare dall’estetista o in lavanderia, comprare videogames, noleggiare una bici o un motorino, iscriversi al Golf club. E ancora: pagarsi l’ottico, la scuola guida, il bar tabacchi, il benzinaio, anche i buoni pasto per le mense scolastiche.

Insomma, a Rovereto, frontiera italiana, il Bitcoin è diventato quello che si auspicava Satoshi Nakamoto: un sistema monetario parallelo a quello tradizionale, che irrompa nell’economia reale trasformando le nostre vite in positivo. Tagliando fuori i giochini di potere di Banche e governi centrali.

C’è poi in progetto la possibilità di aprire una Accademia a Pordenone, con corsi di laurea e piani didattici, al fine di insegnarla a chi non sa ancora nulla di criptovalute. Diciamo pure il 99% degli italiani. Amadori è realista, al punto che ritiene che il Bitcoin perderà ancora, può succedere. Mentre l’Euro esisterà ancora. E un paragone: visto che esistono le mail ma anche ugualmente il Fax. Grazie al Bitcoin, Gianpaolo Rossi si è fatto gli amici che cercava all’inizio, ma non si è arricchito. Per lui, il crollo degli ultimi tempi “ha fatto del bene a tanta gente, dato che in molti stavano perdendo la testa”. Si trattava di una crescita gonfiata, irreale. Invece,a suo dire, non bisogna avere fretta. E, soprattutto, “non bisogna giocarsi la testa”.

Del resto, la natura virtuale del Bitcoin lo rende ancora più affascinante ed appetibile. Così come le app che consentono di fare trading comodamente da smartphone e tablet, e in maniera molto semplice. Pure troppo. Fattori che hanno portato alla febbre della Corea del sud, col governo costretto ad una severa stretta. In particolare, la Tigre asiatica stava perdendo la testa per le opzioni binarie. La cui semplicità di utilizzo, ha avvicinato pericolosamente troppe persone sprovvedute. Dai giovanissimi alle casalinghe passando per i padri di famiglia.

Tornando a Rovereto, nel ristorante il Doge, situato proprio sotto la chiesa del Redentore, accettano il Bitcoin ma con qualche precauzione. Infatti, l’accredito sul conto corrente del titolare Giancarlo Cipriani viene fatto in euro. Infatti, ammette che si tratti di una realtà che non gli interessa, ma la offre per dare un servizio in più al cliente. Sebbene sia pochissimo usata. Infatti, ammette, dal primo giugno 2017 solo dieci conti sono stati pagati in Bitcoin, su un totale di 1.500 al mese. Anzi, da quando il Bitcoin ha perso il 35 per cento del suo valore, non si è visto più nessuno.

Comunque, il wine bar di Rossi crede fortemente al Bitcoin. Tanto da pagarci anche i suoi dipendenti dal primo settembre 2017. Oltre ad aver installato all’ingresso del locale un distributore che cambia euro in Bitcoin. Sebbene oggi si legga un biglietto di quelli che si leggono fuori agli ascensori che non funzionano: «fuori servizio». Anzi, ha deciso di toglierlo definitivamente, dato che Amadori ha aperto il Comproeuro a due passi.

Ma la volatilità colpisce anche chi usa il Bitcoin nell’economia reale. E coì, al Mani al Cielo per darsi di gomito fino a metà novembre la quota di incasso Bitcoin di un locale che nel fine settimana serve tra i sei e i settemila aperitivi sfiorava gli ottanta euro al giorno. Dopo il tracollo, si è scesi intorno ai 20-30 euro. Infatti, si è già verificato un passo indietro: al Mani al Cielo ora il listino prezzi è fatto solo in euro. Del resto, ammette Rossi, con la volatilità di oggi non ha più senso. Ora però il Bitcoin è di nuovo in salita e forse torneranno. Il Bitcoin è così, molto volatile. E sarà meglio abituarsi.

A Sanremo uno sportello Bancomat per i Bitcoin

Sanremo, si sa, è nota per il Festival della canzone italiana. Da poco finito. Un carrozzone dove si parla di tutto fuorché della canzone stessa. Ma forse a ragione, visto che è sempre più scarsa di qualità ed innovazione. E forse un domani sarà famosa per il Bitcoin. Un criptoFestival della valuta digitale italiana. E forse sarà tutta la Liguria a diventare la regione italiana del Bitcoin, visto che a Genova è nato da poco un temporary store. A Sanremo invece nascerà uno sportello bancomat nella centralissima via Roma tra 3 mesi.

A spiegare come sarà questo ATM è Federico Pecoraro, 33 anni,originario di Bordighera fondatore e CEO di Chainblock. Che dal 2012 ha iniziato la propria avventura col Bitcoin. Tutto avverrà per via telematica, e si potranno scambiare contanti per avere Bitcoin. Il tutto in 4 semplici passaggi: tramite un processo di KYC (acronimo di Know Your Customer), viene effettuata un’autenticazione a quattro fattori direttamente sull’ATM. Basterà inserire il numero di cellulare, poi il codice OTP ricevuto tramite SMS, si scansiona il documento di identità e si conclude la procedura facendosi un selfie. “La registrazione sarà così completa e si diventerà la banca di se stessi” narra entusiasta Pecoraro.

Mediante questo sportello bancomat, non sarà solo possibile prelevare o versare Bitcoin, ma anche Ethereum e Litecoin.

Ma il progetto non si fermerà qui. Come annuncia lo stesso Pecoraro, la Liguria si doterà di pos per gli esercizi commerciali che aderiranno alla criptomoneta. Ma anche i professionisti, come dentisti, nonché ferramenta, centri commerciali. C’è anche al vaglio la possibilità di acquistare on line pagando con una sorta di bonifico bancario. Il loro scopo, prosegue Pecoraro, è di rendere il Bitcoin familiare a tutti. Anche alla casalinga che va a fare la spesa. E qui torniamo all’idea iniziale di Bitcoin, che invece oggi appare solo come un asset su cui speculare. Del resto, la lentezza e il costo raggiunto dalle transazioni, ha disincentivato il suo uso come moneta digitale. Infatti, alcune piattaforme ne hanno già dismesso il suo utilizzo.

La posizione di Sanremo, peraltro, è anche strategica. Dato che la vicina Francia sembra ancora molto scettica sull’utilizzo del Bitcoin. E così, tanti francesi potrebbero approdare in terra ligure per utilizzare la criptovaluta. In fondo, la ricca Costa Smeralda dista pochi chilometri…

Firenze: tre cuori, un capannone e un Bitcoin

Tre cuori e un capannone. Ma anche un Bitcoin. Accade nella zona industriale di Calenzano, alle porte di Firenze, dove è sorta la prima fabbrica per produrre Bitcoin. Anche l’Italia si appresta dunque ad avere il suo primo mining pool, dato che minare Bitcoin è diventato impresa sempre più ardua. Tanto che in mole società stanno scappando nei Paesi dove la corrente elettrica costa molto poco.

Alla Bitminer Factory, hanno creato una piccola realtà industriale capace di produrre 100 macchine al mese, dando anche vita a una comunità di centinaia di persone che si scambiano conoscenze e informazioni in tema di «block chain». Come noto, la vera rivoluzione delle criptovalute, che potrebbe cambiare tanti sistemi: da quelli bancari (come già fa Ripple, che consente di cambiare valute diverse senza passare per il dollaro); a quelli elettorali; fino a quelli commerciali (come Ethereum, che consente la creazione di moderni smart contracts, i contratti digitali).

Tra i soci fondatori di questa start up troviamo Gabriele Stampa, 42 anni, una lunga esperienza alle spalle nel web marketing e nell’e-business. Ammette che il tutto sia iniziato «quasi per gioco un anno fa, quando ho letto un libro sulle criptovalute. Ho montato la prima macchina in un cestello di lavastoviglie e ci sono voluti dieci giorni di lavoro, mentre oggi se ne monta una in venti minuti». Dopodiché ha coinvolto il suo amico Stampa diventato socio, coinvolgendolo nel progetto. Il primo problema che hanno superato è stato l’enorme consumo di energia elettrica che essi richiedono. Hanno così ridotto i consumi di energia elettrica da 1500-1800 watt all’ora a 1000. In che modo? Riprogrammando i componenti hardware.

Del resto, come già dicevamo, il miners domestico ha proprio questo problema oltre alle spese da affrontare per dotarsi di un dispositivo tecnologico che gli consenta di minare Bitcoin. Chi vuole fare mining industriale deve saper gestire energia, impianti elettrici e termici. Quanto è costato il tutto? Inizialmente 250mila euro. Poi, lavorando dalle 8 di mattina alle 9 di sera, alla Bitminer Factory hanno iniziato ad assemblare macchine da 6mila euro con una qualità essenziale. Come rammenta lo stesso Stampa: il problema non è assemblare le componenti dei macchinari, ma farli funzionare senza che la corrente elettrica salti.

L’azienda di Calenzano non produce solo macchinari per fare mining di Bitcoin. Bensì, solo loro stessi creatori di Bitcoin. E le altre criptovalute. Oggi giunte ad oltre 1500. Loro hanno 22 macchine, ognuna delle quali dà 0,002 bitcoin al giorno, ma i soldi veri li fanno i grandi speculatori, perché le oscillazioni sono enormi, fra il 50 e il 60% al giorno. Basti ricordare ancora il succitato cambiamento drastico di valore: dai quasi 20mila di metà dicembre ai circa 8mila dollari di oggi.

Quindi, prosegue Gabriele Stampa, la scommessa vera non è tanto il guadagno sullo scambio delle criptovalute, quanto lo sviluppo futuro della tecnologia sottesa a questo genere di apparecchiature. Del resto, egli ritiene che minare le criptovalute vuol dire scommettere sulla realtà dei blockchain, di cui le valute virtuali sono espressione. Qui si creano dati che non si possono modificare ne riprodurre. Una nuova rivoluzione industriale insomma. Egli ritiene che l’archetipo della criptovaluta sia il gettone del telefono. La quale di fatto non era una vera e propria valuta ufficiale. Eppure, il suo valore veniva comunque riconosciuto, tanto da darlo anche come resto talvolta.

Chi sono oggi i miners di Bitcoin? Aziende, manager, fondi di investimento. Con quanti hanno deciso di acquistare le macchine della Bitminer Factory, più un centinaio di miners industriali e altri 600 appassionati, è stata formata una community per lo scambio di conoscenze e informazioni. A Calenzano, all’ombra di Firenze, stanno dunque osando, nella consapevolezza che si stanno muovendo su di un un terreno vergine e per questo molto incerto. Del resto, Stampa ammette che il problema è anche l’assenza di un chiaro quadro normativo. A parte la legge sul riciclaggio e poche altre norme. Sebbene ciò non li abbia scoraggiati, sicuramente li farebbe stare meglio. La community serve proprio a questo: a crescere insieme».

A guardia del capannone ci sono monitor che lo sorvegliano H24. In fondo, stiamo pur sempre parlando di 400 macchine vendute ai clienti della Factory e i monitor sorvegliano quanto realizzato con l’estrazione delle criptovalute. Nel cortile esterno troviamo invece il prototipo della mining farm mobile, praticamente un impianto trasportabile che l’azienda vuole lanciare sul mercato europeo. L’obiettivo è realizzare quanto fatto dalla Olivetti in quel di Ivrea. Loro ci tengono però a sottolineare che non sono andati in Serbia, dove l’energia costa molto meno. Perchè vogliono realizzare qualcosa in Italia, sebbene il futuro resti molto incerto.

Chissà se sanno che nel 2018 la bolletta della luce è pure aumentata, con un bel +5,3%. Del resto si sa, in Italia da decenni la libera iniziativa è stroncata da tasse e burocrazia…

Anche Perugia si adegua al Bitcoin

Chi l’ha detto dunque che l’Italia sia ignorante e refrattaria (anche) nei confronti del Bitcoin? Questi tre progetti lo dimostrano, così come un quarto: a Perugia, che ogni anno (a metà ottobre) diventa capitale europea del cioccolato tramite la kermesse che dura tre giorni chiamata Eurochocolate. Infatti, da gennaio anche nel capoluogo umbro si accetta il Bitcoin come moneta per fare acquisti. Da metà gennaio, è accettata da poco più di una decina di aziende ed esercizi commerciali. Non solo a Perugia, ma anche Orvieto, Città di Castello e Bastia Umbra. A farlo sono soprattutto gli servizi informatici, tra cui le società “Levita” e “Pcsnet Umbria”, i quali consentono ai loro clienti di pagare anche con la criptovaluta.

Una decisione spiegata all’ANSA da Michele Busiri Vici, amministratore delegato delle due aziende che hanno sede a Sant’Andrea delle Fratte, alla periferia di Perugia. “Ci occupiamo di servizi tecnologici e formazione informatica – ha detto -, quindi è stato un passaggio naturale per noi approdare al mondo delle criptovalute”.